Milano
Dipartimento di Arti Visive
Scuola di Scultura
Il Gioiello
L’evoluzione storica del gioiello nelle società
Relatore Tesi: Prof. Giampiero Moioli
Relatore Progetto: Prof. Massimo Mazzone
Docente d’indirizzo: Prof. Giampiero Moioli
Tesi di:
Antonio Affidato
Matricola: 38602
Anno Accademico 2019/2020
Indice
– Introduzione pag. 1-2
– 1. Età della pietra pag. 3-4
– 2. Mesopotamia pag. 5-6
– 3. Egizi pag. 7-8
– 4. Greci pag. 9
4.1 Gioielli Greci pag. 9-10
4.2 Diadema di Hera Lacinia pag. 10-11
– 5. Etruschi pag. 12
5.1 Gioielli Etruschi pag. 12-13
– 6. Romani pag. 14-15-16
6.1 La Bulla: Il gioiello dei fanciulli pag. 16-17
6.2 Mummia di Grottarossa pag. 17-18
6.3 Crepereia di Tryphaena pag. 18
6.4 I gioielli delle donne pag.19
6.5 Collane pag. 19-20-21
6.6 Orecchini pag. 22
6.7 Bracciale a foggia di serpente pag. 22-23
6.8 Anelli pag. 23-24
6.9 Fibule pag. 25
– 7. Impero Bizantino pag. 25-26-27
– 8. Medioevo pag. 28-29-30
– 9. Rinascimento pag. 31-32-33
– 10. Barocco pag. 34-35-36-37
– 11. Rococò pag. 37-38-39
11.1 Il primo rococò: lo stile Luigi XV pag. 39
11.2 Il secondo rococò pag. 40
11.3 Le versioni inglese e francese pag. 40-41
11.4 La moda di fine ‘700 pag. 41
– 12. Le tecniche di lavorazione pag. 42
12.1 Fusione in terra pag. 42
12.2 Fusione a cera persa pag. 42-43
12.3 Fusione in forma permanente pag. 43
12.4 Cesello e sbalzo pag. 43-44
– 13. Arts & Craft pag. 44-45-46
– 14. Gioielli nel ‘900 pag. 47-48
– 15. Art Nouveau pag. 49-50-51-52-53
– 16. Art Decò pag. 53-54-55-56
– 17. Bauhaus pag. 57-58-59
– 18. Anni ’60 ’80 pag. 60-61-62-63
– 19. Stampanti 3D pag. 63-64
– 20 Artisti e Gioielleria Contemporanea pag. 65
20.1 “Precious – da Picasso a Jeff Koons” pag. 65/75
– 21. Sculture indossabili pag. 76-77-78
Introduzione
I gioielli in tutta la storia dell’umanità hanno avuto sempre un’accezione positiva. Simboli del bello e della ricchezza, del lusso e di protezione: vari sono stati gli usi che le popolazioni hanno assegnato a questi monili, piccolissimi o grandi, che inizialmente sono stati costituiti da semplici pietre o ossa per svilupparsi in pietre sempre più preziose e sempre più lavorate. Di pari passo con l’evoluzione umana, i gioielli hanno incantato i contemporanei e chi ha ereditato le varie fortune.
I gioielli hanno la stessa funzione da sempre, quella di abbellire un corpo, ostentare ricchezza, simboleggiare una storia. Tramite i monili, l’uomo e la donna hanno parlato di sé fin dai tempi più remoti, dimostrazione concreta ne sono i ritrovamenti che si sono susseguiti nel corso dei secoli.
Seguendo un viaggio che attraversa il tempo e lo spazio, vedremo come gli uomini e le donne hanno modificato il loro modo di apparire agli altri e di concepire delle pietre. Ma anche come gli artigiani hanno inventato tecniche sempre nuove e sempre più sofisticate per mettere in risalto le ultime gemme, che via via venivano scoperte.
Ci serviremo dell’ausilio di immagini, che meglio di tante descrizioni, renderanno palese la meraviglia che delle semplici pietre, lavorate con maestria, possono suscitare in chi le osserva.
Dall’età della pietra, con i suoi primi tentativi di creare oggetti da indossare colmandoli di magia, alla Mesopotamia, culla della civiltà. Poi gli Egizi, con il trionfo dell’oro e dei gioielli associati alle divinità, e i Greci, con un simbolo come il diadema di Hera Lacinia, raro esempio di maestria artigiana, che ancora oggi stupisce per la sua bellezza. Gli Etruschi, orafi capaci di coniugare il gusto all’abilità, e l’antica e potente civiltà di Roma, con la storia del gioiello che si lega alla storia e all’evoluzione delle classi sociali. Dall’Impero Bizantino, coacervo di diverse culture, al Medioevo, con l’affermarsi dei gioielli a tema religioso. Poi ci concentreremo sul Rinascimento, con la scoperta di nuove terre, e ciò significò nuovi giacimenti e nuove rotte per il rifornimento di pietre preziose. Con l’età moderna, si assisterà alla massificazione dei gioielli grazie alle nuove tecniche di produzione, aiutate dalla Rivoluzione Industriale, rendendo realmente il gioiello un oggetto per ogni ceto sociale.
Infine, faremo una carrellata sulle tecniche di lavorazione delle pietre, così da illustrare le capacità che ogni orafo possiede.
1. Età della pietra
L’Amuleto rappresentava un piccolo oggetto che, indossato, preservava da qualsiasi tipo di malattia o da un influsso maligno lanciato da un nemico. Esso quindi svolgeva, in quest’ultimo caso, un compito prettamente “difensivo”. I primi amuleti utilizzati dagli uomini primitivi – per lo più cacciatori – venivano ricavati da ossa, denti o corna di animali, e davano al possessore un senso di sicurezza e fiducia nel proprio destino. Le grandi migrazioni, e le successive età del ferro e del bronzo, fecero sì che le diverse tradizioni e conoscenze di questi oggetti si diffondessero e si sviluppassero. Nacquero così amuleti creati da metalli nobili, da pietre preziose e addirittura dalle piante officinali. Gli amuleti acquisirono, quindi, ulteriori proprietà, e vennero visti come curativi e alleviatori di sofferenza. L’oggetto assumeva anche diversi significati all’interno di una società, come il talismano del capo gruppo.
Se si pensa ai primi uomini sulla terra, diventa ancora difficile pensare ad un vero e proprio monile da indossare, perché la materia prima, gemme, oro e altri materiali, non erano ancora stati scoperti. Ecco che entra in gioco la fantasia dei soggetti, che utilizzano materie organiche e inorganiche facilmente reperibili in natura. Erano nudi però indossavano monili che assumevano valore di portafortuna, precisamente erano lische di pesce e conchiglie forate, per gli abitanti che risiedevano presso il mare o i fiumi, mentre tra i cacciatori denti di predatori o ossa. Anche le donne usavano i semi per abbellirsi. Ormai sappiamo, grazie ai ritrovamenti archeologici funerari, l’importanza che avevano i vari monili nell’arco della storia. Anche nel Paleolitico, parliamo di 300 mila anni a.C., l’uomo aveva l’abitudine di indossare sul proprio corpo svariati oggetti, che recuperava nei suoi spostamenti. Esisteva ovviamente una differenza tra quelli indossati dalle donne e dagli uomini. Le prime erano solite raccogliere conchiglie che simboleggiavano la fertilità, mentre gli uomini, prevalentemente occupati nella caccia, ricavavano dalla selvaggina i loro trofei da indossare, come piume, denti o ossa di predatori uccisi o ritrovati morti. All’oggetto in sé, poi, veniva assegnato un valore particolare come portafortuna o amuleto. I più antichi ritrovamenti di cui abbiamo testimonianza sono quelli di Sungir, in Russia, risalenti al Paleolitico superiore, dove in diverse sepolture sono state ritrovate collane a vari fili di perle infilate in materiale organico, denti di volpe, spilloni e bracciali.
Proprio però a causa del loro inesorabile deterioramento, questi antichissimi oggetti hanno lasciato poche, anche se significative, tracce. Risalgono a circa 30 mila anni fa le conchiglie ritrovate in Marocco, che vengono considerate le più antiche forme di ornamento. I ricercatori del CNRS francesi, insieme a colleghi marocchini e inglesi riuscirono ad effettuare questo straordinario ritrovamento in una grotta a Taforalt, nel Marocco orientale. Tredici gusci, tutti con un foro dove passava il filo che li teneva insieme.
Dallo studio emerge che sono state raccolte morte sulla spiaggia dalle donne, che decisero poi di portarle nella grotta dopo essere state scelte, perforate e colorate. Le conchiglie appartengono alla specie Nassarius gibbosulus, identiche a quelle scoperte nei siti paleolitici di Skhul in Israele e di Oued Djebbana in Algeria, dal momento che presentano tutte lo stesso foro.
I monili semplici dell’Età preistorica raggiunsero una significativa evoluzione nel III millennio a.C., quando apparvero i primi oggetti in oro provenienti dalla Mesopotamia, Egitto e mondo greco. Quello che conosciamo oggi è solo una piccola parte dell’immenso tesoro di questi popoli, a causa delle profanazioni delle tombe che si sono susseguite nel corso del tempo, e anche perché era una pratica usuale quella di riutilizzare l’oro e le pietre preziose per eseguire nuovi oggetti.
Nell’immagine in basso le tredici conchiglie ritrovate in Marocco.
2. Mesopotamia
La Mesopotamia veniva identificata geograficamente con la zona compresa tra due fiumi, il Tigri e l’Eufrate. Diversi popoli la conquistarono e si susseguirono nella sua dominazione, tra cui Sumeri, Assiri e Babilonesi. Fu definita la culla della civiltà umana perché fu uno dei primi posti della storia in cui fu possibile osservare un’evoluzione delle tecnologie e le prime concrete forme di religione. Il mondo aveva abbandonato la preistoria per affacciarsi in un’epoca più moderna. Nasceva il bisogno umano di esprimere e rimarcare il proprio stato con un simbolo che si concretizzava nel gioiello, che iniziò ad essere prodotto circa 4000 anni fa, principalmente nelle città di Sumer e di Akkad.
A causa della loro immensa ricchezza, i popoli mesopotamici non riservavano l’uso dei gioielli solo a nobili, reggenti o leader religiosi come avveniva in Egitto. Tutta la popolazione faceva uso quotidianamente di oggetti decorativi e gioielli e tutti ne indossavano almeno uno. Gli oggetti più popolari erano le cavigliere, gli anelli, gli orecchini, le perline per capelli, ciondoli, amuleti, sigilli cilindrici e curiosi nastri per capelli a base di foglie sottili d’oro.
Dal momento che le gemme necessarie alla produzione dei gioielli non si trovavano facilmente in Mesopotamia, furono importate da Egitto, Anatolia e Persia (l’attuale Iran ed Afghanistan) e India. Le pietre più adoperate erano l’elettro (una lega d’oro e d’argento presente nel territorio in grande quantità), il diaspro (roccia composta da quarzo), l’onice, i lapislazzuli, la sardonica e l’agata.
Sui gioielli prodotti venivano impressi, utilizzando tecniche di incisione, granulazione e filigrana, motivi riguardanti la natura quali foglie, ramoscelli, uva, coni e spirali. Uno degli oggetti decorativi più popolari fu il sigillo cilindrico a base di diaspro, serpentine, calcedonio o pietra ollare e veniva usato come sigillo per la spedizione di mercanzie.
La tradizione anche qui molto comune di seppellire gli ornamenti insieme al corpo per la vita dopo la morte, ha consentito il rinvenimento di gioielli molto ben conservati. Chiaro esempio di un ritrovamento di un corredo funebre è stato rinvenuto nella Necropoli Reale di Ur, il cui tesoro, costituito da bracciali, orecchini in oro, collane in oro e lapislazzuli, è possibile in parte ammirare al British Museum di Londra, nel Penn Museum di Philadelphia e in Iraq. Anche se la parte custodita in Iraq, a causa dei noti eventi bellici, forse è andata o dispersa o trafugata e, la parte ritrovata è, forse, oggi conservata nelle banche. Ecco, come esempio, l’elmo d’oro del re Meskalamdug.
3. Egizi
Gli Egizi usavano rame e oro per produrre i loro gioielli, molto rari, invece, erano gli oggetti prodotti in argento, perché difficile da trovare. È importante sottolineare che, per quanto riguardava l’oro utilizzato, esisteva una varietà di colori, dal momento che questo popolo aveva l’abitudine di mescolare elementi come argento, rame e ferro. Spesso troviamo riprodotto il simbolo dell’ankh, che dovrebbe rappresentare l’acqua e l’aria, elementi indispensabili per la vita.
Chiari esempi sono stati ritrovati nella tomba del faraone Tutankhamon e in una raffigurazione del dio Thot che tiene in mano uno specchio che rappresenta questo simbolo. Altro simbolo ricorrente tra gli egizi è l’occhio di Horus, che simboleggia il potere, la protezione dal male e la buona salute. Questo occhio si credeva avesse proprietà guaritrici e veniva inoltre usato come unità di misura, specie per dosare gli ingredienti nelle medicine e nei pigmenti. Gli egizi, oltre a all’occhio di Horus, erano soliti produrre scarabei, ritenuti sacri. Utilizzavano molto il lapislazzulo, che arrivava dal Mar Mediterraneo e veniva definita, per il suo colore, “pietra delle stelle”. Thutmose li portò come tributo e Cleopatra ne usava la polvere come ombretto. Il bracciale in lapislazzuli del faraone Shoshenq I è un esemplare meraviglioso, perché questo grande occhio raffigurato in questo sfondo dal colore caldo e intenso rappresenta la protezione di questo uomo di potere.
Con la scoperta dell’oro in Egitto si realizzò una vasta produzione di gioielli grazie al perfezionamento delle tecniche. Indossare ornamenti d’oro divenne un simbolo di stato sociale, potere e religione: ecco perché i nobili li usavano in vita ma non se ne separavano neanche con la morte. Proprio grazie a questa pratica conosciamo e conserviamo reperti meravigliosi: cinture, perline di capelli, bracciali, collane e altri monili decorati con disegni raffiguranti scarabei, tigri, uccelli alati, pergamene, ecc. Le loro tecniche erano così raffinate e i loro gioielli così preziosi che ne troviamo resti anche in Turchia, Persia, Grecia e Roma.
Queste furono le capacità maggiormente ammirate del popolo Egizio, che attribuivano agli amuleti una vera e propria religione. Dalla loro eccezionale cultura, infatti, nacque l’idea di creare – con la steatite o la maiolica blu – lo Scarabeo, simbolo di rigenerazione nella vita terrena dopo la morte. Veniva posto sulle mummie per simboleggiare la rinascita del defunto. Non solo, amuleti riportanti le immagini degli dei, dell’occhio di Horus o della dea della fertilità Iside, iniziarono a diffondersi in tutto il territorio egiziano, e ad essere considerati oggetti indispensabili per la buona salute in questo mondo e come assicuratori della pace ultraterrena.
Il gioiello era indossato non solo dai membri più facoltosi della società, ma anche dai meno abbienti e dagli schiavi. Questi ultimi, infatti, indossavano il cosiddetto bracciale alla schiava, che serviva per far riconoscere il loro grado; il faraone era ricoperto d’oro, dalla testa ai piedi, sia in vita che nella morte.
Con il nuovo materiale, l’oro, il gioiello acquisisce anche un significato più spirituale: il colore oro richiama il colore giallo, cioè quello del sole e dell’aquila di Ra. Davano molto peso alla vita dopo la morte, al punto da spendere la loro intera esistenza nella costruzione di Piramidi destinate a diventare le loro tombe, per poi riempirle d’oro e appunto gioielli che poi i defunti avrebbero usato nella vita oltre la morte.
Nell’immagine il bracciale con occhio di Horus (890 a.C.) trovato sulla mummia di Shoshenq I.
4. Greci
All’epoca Egizia succederà quella Greca. La millenaria civiltà greca conferì particolare attenzione all’arte del gioiello.
Inizialmente la Grecia si dedicò alla produzione di semplici elementi in pietra e argilla. In un secondo periodo, con l’utilizzo del bronzo, i Greci cominciarono a sviluppare disegni sempre più complessi, fino a produrre gioielli che riflettevano la ricchezza e il potere della nobiltà e dei governanti. Anche in Grecia il gioiello assumeva, come nei popoli precedenti, diversi significati: era visto come un simbolo di potere, status sociale, protezione contro il male, celebrazione degli dei.
Lo sviluppo della civiltà greca ha infatti portato il primo grande utilizzo di gioielli. Successivamente l’oro divenne la materia decorativa primaria, anche se continuavano ad utilizzare anche argento, piombo, bronzo e leghe varie). I gioielli più noti di quel periodo erano anelli, collane, bracciali e ciondoli. Quando la cultura ellenica sbocciò, il gioiello cominciò a vivere il suo momento di massimo splendore. L’utilizzo di stampi e foglie sottili d’oro permise ai greci la fabbricazione di alcuni tra i più bei pezzi antichi che si conservano ancora oggi, considerati veri e propri capolavori. Le gemme più popolari erano ametiste, perle, corniola, granato e smeraldi.
Anche se le tecniche per fare oggetti d’oro furono attinte dal regno d’Egitto e della Mesopotamia, i greci sono riusciti a creare uno stile unico che è rimasto immutato nei secoli successivi.
4.1 Gioielli Greci
La produzione di gioielli in oro e argento, destinata alla classe dirigente, cominciò nell’Occidente greco sin dagli inizi della colonizzazione, alla fine dell’VIII sec. a.C., e comprendeva fibule e collane di pendagli discoidali in lamina d’oro. Nel corso del VI e del V sec. a.C., le oreficerie magno-greche si diffusero anche al disopra della penisola, come emerge dai rinvenimenti nelle necropoli. Dal IV sec. a.C. si svilupparono le produzioni delle botteghe orafe di Cuma e Taranto. Sono state rinvenute anche imitazioni in terracotta colorata di questi monili, destinate ai ceti meno abbienti, che imitavano le classi più ricche. Taranto emerge in età ellenistica per la grande produzione di gioielli e l’uso quasi esclusivo dell’oro come materia prima, proveniente dall’Oriente ellenistico. Non va dimenticata l’ambra, proveniente dall’area balcanica attraverso le vie commerciali dell’Adriatico.
Tra le splendide oreficerie tarantine che utilizzavano varie tecniche, tra cui incisione, godronatura, filigrana e sbalzo, si ricordano gli orecchini a navicella e quelli configurati a protome di leone, diffusi dal tardo IV sec. a.C. anche per le terminazioni di collane e bracciali; anelli a spirale, con ovali a raffigurazioni incise o con pietre incastonate; diademi, come quello del III sec. a.C. rinvenuto a Canosa nella Tomba degli Ori, con inserti floreali impreziositi da smalti e pietre dure. Gli ori di Taranto sono documentati sino agli inizi del II sec. a.C., quando, con la conquista romana, le diverse scuole dei due popoli entrarono in concorrenza.
4.2 Diadema di Hera Lacinia
Un notevole esempio di produzione della civiltà Greca è il diadema della Dea Hera Lacinia, che è stato ritrovato nel Parco Archeologico che si trova nel promontorio di Capo Colonna a Crotone. È databile insieme agli altri oggetti rinvenuti intorno al VI e IV sec. a.C. Rappresenta un chiaro esempio della tradizione, secondo cui per ingraziarsi gli dei bisognava portare loro dei doni. La dea era la moglie di Zeus e madre di molti eroi e molti dei, era venerata come dea protettrice dei pascoli e soprattutto proteggeva tutti gli aspetti della vita della donna: dal matrimonio alla procreazione, dalle nascite al sostentamento della famiglia. Questo diadema riprende nella sua magnificenza la natura. È un esempio di meticolosità e di un’attenzione straordinaria per quanto riguarda l’intreccio delle lamine. L’orafo che l’ha eseguita e di cui non si conosce l’identità ha realizzato un’opera unica di grande manifattura, perché nessun altro oggetto di tale valore è stato ritrovato. Ha una lunghezza di 37 cm. e un’altezza di 5, interamente in lamina d’oro. Il metallo è stato battuto e definito con la tecnica del cesello e il maestro orafo ha eseguito una decorazione a treccia. Sono presenti ramoscelli di mirto con foglie e bacche che fuoriescono dalla corona e che sono sostenuti grazie ad appositi fili in oro. Molte delle foglie presenti nella parte inferiore del diadema potrebbero essere di vite o di acero. È quasi certo che questo oggetto cingeva la testa della dea, perché sono state ritrovate monete dell’antica Kroton del IV sec.
a.C. che la raffigurano. Oltre al diadema aureo sono stati ritrovati altri capolavori artistici come la sfinge alata, la gorgone, la sirena, la Barchetta Nuragica e un anello anch’esso in oro.
Diadema di Hera Lacinia, Museo Archeologico di Crotone
Anello greco in oro, Museo Archeologico di Crotone
5. Etruschi
In Italia gli Etruschi furono orafi di notevole gusto e abilità. L’incremento che essi riuscirono a dare alla produzione dei gioielli richiese l’impianto di vere e proprie oreficerie, fra le quali furono famose quelle di Poggio alla Guardia (Vetulonia, Grosseto) e quelle presso Bisenzio (Capodimonte, Viterbo). Essi aumentarono progressivamente il numero di quelli che già possiamo considerare gioielli; allargarono i campi dell’oreficeria, creando una tradizione che si rafforzava da una generazione all’altra e che rimase nella coscienza di una popolazione anche nei periodi più bui, subito dopo la conquista romana e nell’alto Medio Evo.
Tutte le tecniche conosciute (incisione, sbalzo, stampiglia, a granulazione, a pulviscolo, a filigrana) furono usate e ne nacquero tanti capolavori, conservati in vari musei.
Nel VI secolo produssero anelli con castone aureo figurato, dimostrando il raggiungimento di una notevole perizia, anche nella lavorazione delle gemme. I musei etruschi della zona intorno Arezzo, in particolar modo quello di Chiusi, offrono una visione di esemplari di vari secoli, all’interno dei quali si possono ritrovare il gusto e i motivi che poi rivedremo negli orafi del periodo gotico, del Rinascimento e dei nostri artigiani contemporanei.
5.1 Gioielli Etruschi
Tra i primi ornamenti, nella stessa Etruria, ci furono le fibule, fibbie che fungevano da spille, soprattutto in bronzo e in argento, con decorazioni varie, ma anche in ambra o in oro.
Quasi contemporaneamente si diffusero fermacapelli per donna e altri monili, tra cui le collane, con lamine d’argento e oro.
C’erano poi i girocolli, con inserti di pasta vitrea, ambra e perle. Il medaglione divenne elemento di copertura e fu lavorato a lamina o a filamenti spiroidali.
Verso l’VIII e il VII sec. a.C. comparve la granulazione, minuscoli granuli d’oro da 0,1mm utilizzati nella decorazione dei gioielli. L’oro veniva separato in sottilissime parti, unite a carbone in polvere, compresso e scaldato fino alla fusione che ne provocava la particolare forma di sferette minuscole.
Dopo il raffreddamento, l’oro si sottoponeva al lavaggio. Per montare le sferette si usava una colla, e quindi venivano fissate in modo permanente col calore.
Tra i gioielli si diffuse la rappresentazione di animali, veri o fantastici, e arabeschi vegetali. Le collane, costituite da un intreccio a catena, venivano abbellite con pendagli decorati all’uso orientale.
Si idearono pendenti formati da uno scarabeo girevole, e comparvero le pietre dure. I bracciali, formati dapprima da un elemento circolare rigido, divennero a fascia o a serpentina. Gli orecchini erano composti da una lamina decorata a filigrana, unita al lobo dell’orecchio tramite un piccolo filo.
Dalla metà del VI secolo a.C. si eseguirono gli anelli con un castone a sbalzo, tramite incisione, o con gemme intagliate. Al termine del VI secolo a.C. subentrò una granulazione sottilissima, con effetto a pulviscolo, unita a paste vitree e pietre dure, con effetto molto decorativo.
I monili che si utilizzarono furono diademi trattati a sbalzo, pendenti per le orecchie a ferro di cavallo, o a scudo ellittico. In epoca ellenistica, si diffusero anche modelli caratterizzati da pendenti eseguiti in materiali diversi, dall’oro, all’ambra, con rappresentazioni di uccelli e di altri animali.
Nell’immagine un orecchino etrusco decorato con una enorme placca in oro sbalzato e con granulazioni del VII secolo a.C.
Orecchino d’oro etrusco decorato con la tecnica del pulviscolo e della granulazione, British Museum Londra
6. Romani
Le leggi vigenti nel periodo repubblicano della civiltà dell’antica Roma vietavano qualsiasi forma di lusso riferito ai diversi aspetti della vita, come l’arredamento della propria casa, l’abbigliamento, l’uso dei gioielli, ecc. Praticamente si viveva in austerità, e il lusso veniva considerato disdicevole e inutile.
Nel 193 a.C. le matrone romane si coalizzarono in una forma di ribellione contro queste leggi proibizioniste. Giulio Cesare promulgò una legge che regolamentava l’uso delle perle. Addirittura Tiberio in epoca imperiale vietò l’uso di vasellame d’oro massiccio. Ma, lentamente, tutte queste disposizioni vennero disattese ed in epoca imperiale dimenticate.
Nell’epoca imperiale, però gradualmente si affermò la tendenza contraria al fine di mostrare Roma agli ospiti stranieri superiore sotto tutti gli aspetti a qualsiasi altra città. Lo stesso Augusto raccomandò la copertura in travertino o marmo di qualsiasi costruzione importante, sia essa tempio, basilica o quant’altro. Automaticamente lo sfarzo, a causa della grande ricchezza che in quel periodo circolava nella città, si riversò anche all’interno delle case, specialmente in quelle dei cittadini più agiati. In un contesto simile è possibile immaginare quanti e quali sviluppi sono stati ottenuti nel campo della gioielleria.
Le persone addette alla lavorazione dell’oro e dell’argento, normalmente identificati in servi o liberti, cominciarono la loro attività prima degli ultimi anni della repubblica, seguendo disegni greci e tecniche etrusche. Gradualmente, questi laboratori verranno ad essere guidati da operatori sempre più bravi, molto probabilmente venuti dall’oriente, che usavano tecniche diverse e materiali provenienti da quelle località. I ricchi romani in epoca imperiale spendevano delle somme immense per ostentare il loro stato sociale nella propria casa, sia essa di città, campagna o mare, con un numero sempre alto di aiutanti e servi. Qualcuno poteva permettersi anche un piccolo esercito privato.
A Roma molti laboratori di orefici erano disseminati lungo la via Sacra, lungo la quale vi lavoravano i Caelatores (cesellatori), gli Inauratores (doratori), gli Anularii (quelli che realizzavano gli anelli), i Bractearii (quelli che ottenevano delle foglie sottilissime d’oro con la battitura dello stesso, tra due strati di cuoio). Erano anche comuni i lavoratori di Margaritarii dove si lavoravano solo perle.
Infatti all’oro e all’argento si abbinava l’uso delle perle pescate in Egitto, nel Mar Rosso, o nell’Oceano Indiano e anche quello di pietre preziose, in particolar modo rubini, smeraldi, diamanti, topazi, zaffiri, acqua marine, pasta di vetro e ambra (resine fossili di antiche conifere che qualche volta includono insetti ben conservati, provenienti dal Baltico e dal nord della Germania).
I gioielli più usati nel mondo romano erano gli anelli, i bracciali, gli orecchini, le spille e le collane. Dopo che il culto di Iside (dea Egiziana della Fertilità) si propagò anche nel mondo romano, divenne di moda l’effige del serpente, animale sacro a questa dea, che appariva spesso in bracciali realizzati in oro con diverse spire squamate e occhi di pasta vitrea o pietre preziose luccicanti. Questi bracciali potevano essere portati anche all’avambraccio (basti pensare alle riproduzioni pittoriche della famosa Cleopatra). Il serpente era spesso riprodotto anche in forma di anello. La collana era ovviamente il monile più prestigioso e appariscente perché in primo piano sul petto della persona che la portava. La maglia poteva essere realizzata da anelli più o meno grandi infilati uno dentro l’altro oppure da matassine di fili intrecciate tra loro, o dalla piegatura di quattro nastri di metallo tra loro. La collana era corredata ad intervalli regolari da costoni contenenti una pietra preziosa, oppure, monete d’oro o d’argento e terminava nella parte centrale. Queste collane potevano raggiungere una lunghezza mediamente di 40 cm., con un peso adeguato. Negli scavi di Pompei è stata rinvenuta una collana lunga due metri e mezzo, con un peso vicino al chilo, avente un intreccio particolare sul petto, sotto i seni, sulle spalle e anche sotto le ascelle. Veniva indossata come un capo di vestiario. Gli orecchini erano realizzati con pendagli di qualsiasi forma e foggia: delfini, anfore, cuori, amorini, soli, mezze lune, rosette ecc. Famosi sono i Crotalia, costituiti da più pendenti che terminavano con una perla. Con il movimento della persona queste perle producevano dei rumori urtandosi tra di loro. Il Crotalo è il sonaglio situato all’estremità della coda di alcuni serpenti velenosi del Sud America, formato da anelli cornei che producono un suono caratteristico.
Altro oggetto prezioso usato dalle donne era una rete ovviamente d’oro a maglia intrecciata che veniva posata sulla testa per tener fermi i capelli. Si devono anche menzionare i gioielli usati esclusivamente dagli uomini: anelli con sigillo, pettorali per parate, foderi per le armi (pugnali, spade, stiletti), parti di armature (come corazze ed elmi).
È bene ricordare due tecniche di lavorazione dell’oro: la filigrana e la granulazione. L’oro è un metallo che può essere ridotto in fili sottilissimi. Un solo grammo d’oro può svilupparsi con le tecniche di oggi in un filo sottile lungo due chilometri e mezzo. Questi fili venivano saldati su lamine dello stesso metallo nel disegno artistico voluto dall’orefice. L’altra tecnica è quella della granulazione. Si trattava di riuscire a ottenere delle perfette piccole sfere d’oro facendo scaldare alla temperatura dovuta piccole scagliette dello stesso metallo miste a polvere di carbone. Terminata l’operazione si lavava il tutto con acqua, che raffreddando l’oro eliminava il carbone. Queste piccole sferette venivano poi saldate alla lamina d’oro di supporto con una lega a fusione più bassa, tipo oro e argento. Di questa tecnica molto antica ci giungono testimonianze dalla Mesopotamia e gli Etruschi ne fecero largo uso. I Romani raramente portavano nella propria tomba i propri gioielli. Solo in presenza di giovani morti in tenera età, si sentiva il bisogno di mettere all’interno del sarcofago i loro gioielli e i piccoli ornamenti con cui giocavano con le bambole.
Del mondo romano occidentale non rimangono grandi ritrovamenti, con l’eccezione dei reperti ritrovati seppelliti e perfettamente conservati in seguito all’eruzione del Vesuvio nell’agosto del 79 d.C., che ha sepolto di cenere e lapilli Pompei, Ercolano e Stabia. L’oro dei romani veniva estratto in Egitto (che rappresentò per parecchio tempo la principale fonte di approvvigionamento), in Spagna, in Dalmazia, in Britannia, in Piemonte e nel Veneto. Negli anni dell’impero questo prezioso metallo veniva importato anche dall’Arabia, dall’India, e dalla Siberia.
6.1 La bulla: il gioiello dei fanciulli
Come primo oggetto i bambini romani indossavano la bulla aurea, un ciondolo d’oro che serviva da amuleto portafortuna. Veniva indossata da maschietti e femminucce, e in origine almeno, non rappresentava un portafortuna, bensì il segno della sacralità dei bambini: chi osava far loro del male sarebbe stato punito con la morte.
In realtà la bulla aurea era un gioiello di origine sabina voluto dalle sabine quando, dopo essere state rapite, accettarono di sposare i romani.
Naturalmente la bulla non poteva essere indossata dai piccoli schiavi ma solo dalle persone libere. Questo monile era in genere di solo “oro matto” (oro a 22 carati), talvolta aveva attaccato un ciondolo con una pietra dura o una pasta vitrea.
Bulla Romana in oro
6.2 Mummia di Grottarossa
Nel 1964 si scoprì all’interno di un sarcofago, assieme al suo corredo funerario, la mummia di una bambina romana di otto anni al Km. 11 della Via Cassia, a nord di Roma, precisamente a Grottarossa, risalente circa alla metà del II secolo d.C. Il corpo della bambina era avvolto in una pregiata tunica di seta cinese con una collana in oro e zaffiri, ancora intatta e lunga 36,5 cm. a filo d’oro lavorato a cordoncino con un pendaglio di tredici zaffiri sfaccettati.
Inoltre aveva due orecchini di filo d’oro e un anello con castone aureo e un filo avvolgeva parte dell’anello per ridurne il diametro. Accanto al corpo fu trovata anche una bambola in avorio con braccia e gambe articolate. Completavano il corredo funerario alcuni vasetti, piccoli amuleti ed un minuto busto femminile, tutto in ambra rossa.
6.3 Crepereia Tryphaena
Un altro notevole ritrovamento è rappresentato dalla bellissima bambola d’avorio di Crepereia Tryphaena, una fanciulla romana morta nella seconda metà del II secolo d.C.
La bambola venne sepolta accanto a lei e insieme a un cofanetto di legno e avorio, dove erano stati conservati gioielli d’oro in miniatura, come miniaturizzato era anche il suo completo da toilette: due pettinini in avorio e due minuscoli specchi d’argento.
Al dito della bambola era conservato un anello d’oro con la piccolissima chiave che apriva il cofanetto.
La bambola era alta circa 20 cm., con articolazioni snodate alla spalla, all’anca e persino al gomito ed al ginocchio; snodi che neppure oggi si usano, nemmeno per le bambole più costose.
Le mani avevano anche le unghie, i piedi perfettamente delineati ed il volto, decisamente bello, sovrastato da capelli disposti in un’acconciatura di sei trecce raccolte sul capo a corona, che riproduceva la tradizionale pettinatura delle spose romane.
Bambola d’avorio di Crepereia Tryphaena, circa 20cm, Museo Centrale Montemartini
6.4 I gioielli delle donne
Gli orecchini, inaures, erano il primo tra gli ornamenti femminili, che potevano essere indossati fin dall’infanzia. Li portavano tutte le bambine, povere o ricche che fossero, così come il cerchio da indossare al braccio, la cosiddetta buccola, che poteva essere in oro, argento, rame o bronzo, semplice o con una pietra preziosa o in pasta vitrea, con attaccati gingilli, conchiglie o bacche.
Ogni bambina portava al dito mignolo un anello d’oro, per quanto poveri tutti potevano permettersi un filo sottile d’oro da indossare, soprattutto se si trasmetteva da madre a figlia.
I gioielli delle adulte somigliavano molto ai modelli etruschi del III e II sec. a.C., abilissimi orafi che amavano creare un tipo di gioiello flessibile e snodato in più maglie ritorte in se stesse. Il cerchio rigido ritorto fu di uso quasi solo maschile, adoperato per onorificenze militari. Erano in argento e in oro e i soldati non se ne separavano mai perché simboleggiava il loro valore guerriero. Il gioiello presente sia nell’oreficeria etrusca che greca, romana, nonché egizia, fu un serpente d’oro da indossare sull’avambraccio o realizzato come anello, antico simbolo portafortuna della dea Terra.
6.5 Collane
I romani per l’oreficeria presero a modello tanto l’oreficeria etrusca che quella greca, e perfino un tocco di oriente persiano. Indubbiamente però i primi orefici che servirono Roma furono etruschi. Ma l’oreficeria romana produsse anche anelli a losanga incisa, di derivazione greca. I gioielli realizzati in oro e gemme si moltiplicarono verso la fine dell’età repubblicana e soprattutto a partire dall’età augustea (27 a.C. – 14 d.C.), con l’apertura dei mercati orientali da cui provenivano le pietre preziose.
Soprattutto si diffusero le perle, pescate nell’Oceano Indiano e nel Mar Rosso, usate non solo nei gioielli, ma anche per ornare i vestiti e pure i calzari. Plinio e Tacito si infastidirono molto a causa dello spreco eccessivo di denaro che serviva solo a soddisfare la vanità delle donne del tempo. Loro però non si concentrarono su un aspetto importante di questa produzione che portò l’artigianato e il commercio a costituire una fonte di guadagno e la possibilità di sfamare la maggior parte della popolazione.
La matrona aveva sempre al suo seguito le schiave ornatrices, che avevano il compito non solo di aiutarla a vestirsi ma anche ad abbinare tutti gli accessori. Esse si preoccupavano di creare un’armonia tra le vesti, le calzature e i gioielli. Anche i gioielli furono inimitabili, con quel caratteristico aspetto dorato scuro dell’oro a 22 carati come si usava all’epoca, più attente al gusto che non al peso dell’oggetto.
Apprezzatissimi gli smeraldi, provenienti per lo più da miniere egiziane, i granati e i diaspri. L’oro viene usato molto più dell’argento e di materiali poveri come il bronzo. Fanno eccezione delle collane e degli spilloni per i capelli, spesso di bronzo o materiali poveri.
La maggior parte dei resti rinvenuti sono quelli delle città sepolte vesuviane che documentano quanta ricchezza di oreficeria si possedesse in una città di provincia da parte dei soli ceti medi, senza tener conto degli aristocratici. In quest’area vesuviana le collane, comuni quasi quanto gli orecchini, difficilmente erano in oro o argento, spesso invece in materiale alternativo come la pasta di vetro o perle, corallo, ambra ecc.
Il modello più usato, di lunghezza varia, aveva una serie di grani sferoidali di colore turchese, solcati da costolature longitudinali. Un altro modello presentava grani lisci in cristallo di rocca, o barilotti di vari colori, o vetri sfaccettati. Spesso i grani erano mescolati con diverse forme e colori. Le altre collane documentate sono in oro, talvolta arricchito da gemme, ma le più frequenti sono quelle meno costose: un semplice girocollo in oro, provvisto di un pendente.
Il pendente era quasi sempre una lunula (un piccolo crescente lunare), amuleto che, secondo Plauto (Epidicus), si usava regalare alle bimbe alla loro nascita, indossato prevalentemente dalle ragazze e dalle donne non sposate. A volte la collana aveva diversi pendenti, o si alternavano sferette d’oro a sfere di pasta vitrea, oppure dischetti in oro con pasta vitrea o perle.
Le maglie delle catenine invece erano generalmente costituite da piccole lamine che rendevano piatta la collana, oppure erano in fili tagliati a forma di 8, ripiegati e inseriti gli uni negli altri. Questo tipo di maglia, chiamato loop in loop, assumeva una sezione quadrangolare. Negli esemplari più elaborati le catene in filo potevano essere a maglie multiple, così da formare cordoncini di vario spessore.
Ci si chiede che valore avessero gli smeraldi per i romani, dato che sono state rinvenute collane di smeraldi con alcune delle pietre sostituite in pasta vitrea. Evidentemente delle pietre si erano spaccate, oppure non si avevano sufficienti smeraldi per la collana. Oggi non si completerebbe mai una collana autentica di pietre preziose con pietre false, invece i romani lo facevano. Ciò da una parte appare strano, perché i romani avevano molto chiaro il concetto dell’originale e del falso, ma è come se questo concetto non venisse applicato alle pietre.
Un modello di notevole effetto e di grande pregio è quello costituito da più catene di maglia in filo accostate, così da costituire un nastro sul quale venivano fissate le pietre preziose. Sono noti solo pochissimi esemplari, due dei quali dall’area vesuviana. Si ricordano la collana con grandi perle barocche alternate a smeraldi a forma di prisma; otto esemplari di collane di grande lunghezza, con maglie in lamina o in filo; nonché collane costituite da una fila di foglie in lamina, come lo splendido esemplare rinvenuto nella Villa di Diomede a Pompei.
Di grande valore e bellezza è la collana recentemente trovata negli scavi in località Moregine, a Pompei, il cui lunghissimo laccio (cm. 242) è costituito da una maglia multipla del tipo loop in loop.
Potevano infatti venire avvolte in più giri attorno al collo e poggiate sulle spalle oppure poggiate sulle spalle e incrociate sul petto e sul dorso, con le borchie nei punti di incrocio, come è documentato da alcune pitture. Insomma le lunghe collane degli anni venti furono copiate dalle collane romane. Praticamente queste catene d’oro servivano a modellare la veste, incorniciandone i seni e/o il punto vita. Talvolta erano così lunghe da ricadere sui fianchi.
6.6 Orecchini
Tra i modelli di orecchini il tipo più diffuso nel ceto medio è quello a forma di spicchio di sfera, costituito da una lamina d’oro sagomata alla quale viene saldato un gancio a doppia curva per appenderlo all’orecchio.
Esso è ritenuto invenzione degli orefici campani ed è caratterizzato dall’ampia superficie liscia, uno dei motivi preferiti dall’oreficeria romana. Ve ne sono però alcuni decorati con puntinatura a sbalzo, economica imitazione della granulazione.
Alquanto diffuso, fino al III secolo d.C., è anche l’orecchino di derivazione ellenistica costituito da un semplice anello in filo d’oro, a volte decorato con piccole gemme, dal quale pende un filo in oro terminante con una perlina o una pietra.
6.7 Bracciale a foggia di serpente
I bracciali, più comunemente chiamati all’epoca armille, erano abbastanza diffusi, sia alle braccia che ai polsi ed anche alle caviglie (periscelides). La maggior parte venivano prodotti in oro, pochi quelli in argento e ancor meno quelli in bronzo.
Negli esemplari in oro, spesso la verga non è piena ma costituita da una lamina.
Le donne, come si è possibile notare in molti film riferiti all’epoca, portavano sovente gioielli a lastra, che si aprivano a pressione, attorno al braccio ma soprattutto all’avambraccio.
Le cavigliere possedevano spesso dei pendenti leggeri che risuonavano al passo delle fanciulle romane. Come materiale si prediligeva l’argento, che produceva un suono più tintinnante. Il modello prevalente usato a Pompei ed Ercolano, è quello a serpente, generalmente con il corpo del rettile avvolto in una o più spire, o a due teste, o con pietre incastonate sul capo o negli occhi.
Le armille seguivano una moda: quelle con verga a nastro avvolta in spire e teste di serpe divergenti alle due estremità del bracciale, (come quella trovata nella casa del Fauno a Pompei), sono del I sec. a.C.; quelle sempre con verga a nastro ma con una sola testa, di età augustea; quelle con verga tonda, del I sec. d.C. inoltrato. Il serpente, in tutte le epoche e in ogni parte del mondo, ebbe un significato sacro e apotropaico. Solo nella religione cristiana assunse un significato malefico. Il serpente era il simbolo della dea Tellus, di ogni dea della Natura, pertanto simbolo di fecondità e prosperità.
Frequenti sono anche le armille con semplice verga tonda e cava, spesso riempita di resina o altro materiale per ottenere una maggiore solidità, solo con un castone liscio, appena accennato; altre possono recare una o più pietre di smeraldo. Nell’immagine un tipico bracciale a foggia di serpente.
Bracciale in oro con protome di serpente, Museo Archeologico Nazionale delle Marche
6.8 Anelli
L’ornamento più diffuso tra la popolazione era l’anello, indossato anche da chi non poteva permettersi gioielli.
Questi venivano indossati in più di un esemplare per ciascuna mano. Era un costume seguito anche dagli uomini.
L’anello aveva anche la funzione di sigillo e per questo si rinvengono molti anelli con castone o con gemma incisa. L’incisione delle gemme diventa così un’arte vera e propria e il loro uso riguarda sia donne che uomini, soprattutto in oro, pochi in argento o ferro e ancor meno in bronzo.
Sulla pietra o sul diaspro si incidono divinità, simboli romani, teste di imperatori, animali e così via, ma sull’anello d’oro si pongono pure monete o piccole medaglie.
Tra i vari modelli documentati prevalgono nettamente gli anelli con il castone decorato da una gemma, spesso incisa; la verga è liscia e per lo più cava, era realizzata con una lamina riempita con resina o altra sostanza che le conferiva maggiore solidità.
Le gemme più usate erano smeraldi, prasii, granati, ametiste, niccoli, quarzi, ma soprattutto corniole, queste ultime quasi sempre incise. La corniola e il niccolo avevano un costo minore e pertanto erano sovente montati in ferro. Per giunta non restavano attaccate alla cera se usati come sigillo.
Un altro modello di anello a larga diffusione è quello con verga liscia che si allarga verso un castone, tipo definito liscio o inciso. Rari invece gli anelli a cerchio, con verga a sezione circolare liscia o più raramente godronata. Ancora più rari quelli in cui la verga si sdoppia formando due anelli con castoni lisci combacianti.
Anello in Oro di epoca romana
6.9 Fibule
Le fibule furono le più antiche spille usate dai romani per fermare le vesti sulle spalle ed alla vita. Si ritiene che lo spillone fosse ancora più antico, ma in ogni caso l’uso fu concomitante.
La fibula rappresentava una “spilla di sicurezza” (tipo “spilla da balia”) derivante da uno spillone, ottenuto in fusione, quindi di un certo spessore, dalla ripetuta piegatura e ornato in vari modi con ingrossamenti vari o applicazioni laminari. Le fibule più antiche furono in bronzo e più tardi di ferro, lunghe dai 2 ai 50 cm, ma ne sono state trovate anche d’argento o d’oro e, in età imperiale, anche decorate con gemme. Il loro utilizzo cessò verso il VI secolo, sostituito per lo più dalle spille vere e proprie.
7. Impero Bizantino
Successivamente al declino sempre più profondo dell’antico Impero Romano, Costantino I spostò la capitale nella parte orientale del regno, a Bisanzio, poi conosciuta come Costantinopoli (330 d.C.), che divenne la capitale dell’Impero Romano d’Oriente.
Gli imperatori bizantini avevano ereditato, oltre ai vasti territori dell’antico regno macedone, comprendenti Grecia, Asia anteriore, Egitto e Tracia, Libia e la Penisola anatolica fino all’Armenia, anche le tecniche altamente evolute dei loro artisti e artigiani, molti dei quali furono attirati a Costantinopoli dalle sue ricchezze e dalla presenza di numerosi mecenati. Di conseguenza nell’arte e nella gioielleria predominavano due stili diversi: uno classico di eredità greco-romana che incarnava l’eleganza formale; l’altro, più astratto e compatto, derivante dalle forme bidimensionali dell’Asia anteriore e dell’Estremo Oriente. Nessuno di questi due stili prevalse, ma coesistettero o modificarono la loro natura sbocciando in nuove configurazioni. L’ornamentazione era preziosa, decorata e ricca di colori: una particolare sintesi di elementi ellenistici e persiani. Come già quella romana, la gioielleria bizantina preferiva usare sottili lamine d’oro, piuttosto che materiale massiccio; ma soprattutto utilizzava una notevole quantità di pietre, solitamente tagliate a cabochon, quali: agate variegate, quarzi rosa, smeraldi, ametiste, lapislazzuli dell’Asia Minore, perle dell’Oceano indiano. Questo stile prevalentemente cromatico era ottenuto anche con l’applicazione degli smalti e del niello, con l’incrostatura e accostando leghe diverse d’oro, dal colore giallo, rosato e verdognolo. La tecnica dello smalto è basata sulle diverse temperature di fusione dello smalto e del metallo: il primo, costituito da pasta vitrea colorata con ossidi di metallo in polvere, fonde a 700° c., mentre il secondo alla stessa temperatura rimane immutato; varie sono le applicazioni di questa tecnica, già utilizzata dagli orafi egizi e, tra le popolazioni europee, in particolare dei Celti (I – III sec. d.C.). Per l’applicazione del niello, la superficie del metallo prezioso viene incisa a bulino o ad acido, seguendo un motivo decorativo: i solchi lasciati dall’attrezzo o dall’acido vengono riempiti con una miscela di zolfo fuso, in cui sono inglobati solfuri di argento, rame, piombo. Alla fine della lavorazione, il niello assume una colorazione nera o blu a seconda della percentuale e del tipo di solfuri usati. Questa tecnica, molto amata nell’Antichità, ma soprattutto nel Medioevo, dal XVI sec. cadde in disuso, per essere ripresa nel XIX sec. soprattutto in Russia. L’incrostatura è l’intarsio di metallo prezioso in altro metallo. Una superficie metallica viene incisa con il bulino seguendo un disegno: nei solchi cuneiformi, allargati verso il basso, viene inserito un filo d’oro o d’argento, poi martellato, al fine di incastrarlo in profondità. La superficie viene quindi levigata e lucidata. Questa tecnica era già presente nell’arte egea ed egizia dal 1500 a.C. I vari colori dell’oro si ottengono variando i componenti delle leghe, o dosandoli diversamente: l’oro giallo e rosa sono ottenuti con una lega di oro, argento e rame; la tonalità più rosata deriva dall’uso di una maggiore percentuale di rame; l’oro verde è una lega d’oro, argento e cadmio; il colore più o meno verdognolo dipende dalla maggiore o minore quantità di argento usata nella lega. Gli orafi bizantini usarono anche la filigrana, la granulazione e lo sbalzo, tecniche che spesso venivano accostate in uno stesso oggetto. La filigrana, tecnica antichissima, già usata dal III millennio a.C. in medio Oriente, è costituita da sottilissimi fili di metallo intrecciati, disposti in modo da ottenere motivi decorativi, solitamente ad arabesco. La granulazione fu introdotta dagli antichi etruschi che l’hanno usata, con grande abilità, dal X al III sec. a.C.; questa prevede l’applicazione, mediante saldatura su base metallica, di minuscoli grani d’oro disposti a formare motivi ornamentali. Gli etruschi, impareggiabili in questa tecnica, riuscivano ad applicare da 400 a 800 sferette su una superficie di appena 1 cm. Lo sbalzo è il decoro che viene realizzato con martello e cesello, mediante spinta del metallo prezioso dal rovescio verso l’esterno: si ottiene così un disegno che sporge notevolmente rispetto al piano di superficie. La lastra da lavorare viene appoggiata su un piano costituito solitamente da una cassetta di legno o ferro riempita di apposito mastice, detto anche pece (a volte la base può anche essere di stagno). Quest’arte era praticata dagli Egizi, Cretesi, Greci e Romani. Altro metodo di lavorazione era il traforo, cioè lavorazione ad intaglio, che riesce ad ottenere effetti di contrasto, ideale per ottenere arabeschi di tipo astratto.
La più completa documentazione sulla lussuosa gioielleria di corte si trova nei mosaici della chiesa di S. Vitale a Ravenna, questi mostrano i gioielli in uso nel VI sec. d.C., periodo davvero culminante per la gioielleria di Bisanzio.
I mosaici sono una testimonianza importante specie da quando la Chiesa vietò l’uso di seppellire i gioielli con i defunti. Tra l’XI e il XIV sec. le spedizioni militari delle Crociate, per ordine di Venezia conquistarono Costantinopoli. Negli anni che seguirono la città fu depredata delle sue ricchezze e quasi tutta la gioielleria presente venne fusa. Solo alcuni monili si salvarono ed oggi sono conservati gelosamente nella Basilica di San Marco a Venezia. La tradizione bizantina, però, non si è estinta del tutto ma ha continuato ad ispirare numerosi artisti nel corso dei secoli, tra cui l’icona Chanel, che per i suoi gioielli prendeva spunto dai gioielli del tesoro di San Marco.
Mosaico, Corteo di Teodora e Giustiniano, Basilica di San Vitale, Ravenna
8. Medioevo
Quando parliamo di Medioevo ci si riferisce alla produzione orafa di un periodo che va circa dall’‘800 al 1490. In questo arco di tempo si assiste allo sviluppo dello stile artistico che passa da una produzione bizantina ricca di decorazioni a uno stile che riprende quello gotico, che privilegia un modello essenziale per giungere infine al periodo rinascimentale, in cui è possibile trovare uno stile naturalistico. Durante il Medioevo non esisteva diversità tra i gioielli che venivano indossati dalle donne e quelli indossati dagli uomini. I laboratori degli orefici nascevano vicino ai monasteri e alle corti, in quanto i committenti erano i proprietari delle tenute.
Anche i bambini indossavano gioielli, per loro venivano utilizzati al posto delle gemme dei vetri colorati per adornare i loro monili. Negli ultimi anni del ‘300 si diffuse la moda di indossare delle collane con ciondoli in quanto gli abiti divennero sempre più scollati. Il gioiello in questo periodo più in uso è la spilla, costituita quasi sempre da un anello con l’ago centrale che aveva la funzione pratica di bloccare il mantello. Sappiamo che era già in uso in questo periodo l’usanza di regalare durante le cerimonie di fidanzamento e di matrimonio sempre lo stesso tipo di anello alla futura sposa, che l’avrebbe indossato al terzo dito della mano destra.
Durante il Medioevo ebbero grande diffusione i gioielli religiosi, i reliquari a forma di pendenti, i medaglioni realizzati in cera sui quali era inciso il nome del papa in carica e l’immagine dell’agnello di Dio. Non dimentichiamo la produzione diffusissima di rosari, che venivano realizzati in diversi materiali come il corallo e l’ambra.
Il gioiello durante il Medioevo poteva assumere tre significati differenti: un significato pagano, in quanto alle pietre preziose erano attribuite proprietà terapeutiche, spirituali e poteri magici; un significato religioso poiché il potere di protezione era affidato al messaggio che portavano e non al valore materiale della pietra utilizzata; un significato sociale, in quanto i gioielli indicavano anche l’appartenenza ad una determinata classe sociale e per questo motivo furono emanate delle leggi che ne regolavano l’uso per non stravolgere la gerarchia sociale.
I monili medioevali erano ricchi di contaminazioni culturali, infatti erano diversi i modelli e le tecniche che si svilupparono durante le invasioni barbariche. Grazie anche alla pratica diffusa di donare oggetti nuziali e monili a coloro che detenevano il potere, si diffuse il gusto per oggetti sempre più lavorati e sempre più ricercati. Un ruolo importante lo ebbe la città greca di Bisanzio che ospitò grandi orafi e poté contare su oro illimitato che arrivava dai Balcani e il rifornimento di pietre preziose che provenivano dalla Persia e dall’India. Gli orafi svilupparono tecniche sempre più complesse per soddisfare le richieste dell’imperatore Giustiniano, che ricopriva la moglie d’oro e pietre riservate solo a lei, come zaffiri, smeraldi e perle. Le tecniche che venivano adoperate erano lo sbalzo, il cesello, il traforo e lo smalto cloisonné che serviva a rendere preziose le polveri di vetro colorate che venivano versate su lamina. Sappiamo che tra il V e l’VIII secolo le tribù germaniche migrarono portando con sé tutti i gioielli in loro possesso. Le donne dei Goti avevano l’uso di fermare il mantello alla veste con due spille, dette fibole e alla cintura portavano le fibbie che erano decorate con pietre preziose e vetri colorati.
Conosciamo molto di questo popolo, perché avevano l’abitudine di seppellire i loro morti con gli oggetti personali che costituivano il corredo funerario. Il più grande tesoro è stato rinvenuto a San Marino nel 1893 ed è costituito da: una doppia fibula, un anello, uno spillone per capelli e altri oggetti in oro e alveoli composti da graniti rosso violacei.
Nelle epoche antiche il gioiello era stato soprattutto prerogativa delle classi aristocratiche, anche se esistono tuttavia esemplari creati e indossati dalla classe popolare. Ma verso la fine del Medioevo il gioiello cessa di essere monopolio esclusivo di regnanti e nobili ed inizia a diffondersi, invece, anche nel ceto borghese e mercantile che andava affermandosi nelle nuove città e nei liberi comuni.
Nel Medioevo gli orafi uscirono dal chiuso dei conventi, per iniziare a lavorare nelle botteghe ed a costituirsi in corporazioni. Il periodo gotico dell’oreficeria è uno dei più luminosi di questa arte, grazie alla fioritura di artisti e la bellezza di opere che tuttora ammiriamo.
Nelle immagini in basso possiamo ammirare una magnifica fibula a forma di aquila, animale sacro per i pagani. Inoltre uno dei più famosi pezzi gotici, rappresentato dal gioiello di Founder, in oro, perle e pietre preziose, lasciato al New College di Oxford dal suo scopritore, William of Wykeham, nel 1404. La M longobarda raffigurata deriva dai caratteri del primo Medioevo.
Orecchini in stile policromo. Oro, smalti e pietre preziose. V-VI sec. New York, Metropolitan Museum Gioiello del fondatore, Spilla del 1404. College, Oxford
9. Rinascimento
Nel Rinascimento, come in ogni epoca che lo ha preceduto, il gioiello assume lo stesso ruolo fondamentale nella società. È un periodo di massimo splendore per ogni genere di monili, sia per l’aumento della ricchezza economica generale, sia perché furono scoperte nuove terre con nuove e ricche materie prime. La scoperta dell’America nel 1492, finanziata dalla corte spagnola, aumentò considerevolmente la disponibilità sia di pietre preziose, come gli smeraldi, sia dell’oro, provenienti entrambi dal Sudamerica. La Spagna divenne così la nazione di riferimento per la moda del tempo. Un altro evento che rappresentò un notevole cambiamento per la produzione e l’approvvigionamento di pietre preziose si verificò nel 1498, grazie al contributo del portoghese Vasco da Gama che, scoprendo il passaggio per l’India attraverso il Capo di Buona Speranza, riuscì a rendere questo paese il maggior fornitore di diamanti. Con l’affermarsi del colonialismo e l’arrivo di ingenti quantità d’oro e di altri metalli preziosi dalle nuove terre, si sviluppò la produzione di gioielli destinati alle personalità delle corti reali europee e all’alta borghesia. Molti oggetti e preziosi, ad esempio, l’oro, l’argento, la giada, le pietre e le perle rare, vennero razziate e inviate al di là dell’Oceano.
Purtroppo, sia per la sua natura di oggetto prezioso sia per il legame con i gusti del tempo, pochissimi esemplari quattro-cinquecenteschi sono giunti fino a noi, a causa dell’usanza piuttosto diffusa di smontare le pietre dai gioielli e fondere l’oro per creare nuovi modelli. Per fortuna sono tuttora presenti numerosi documenti iconografici, che non hanno cancellato la testimonianza della produzione del tempo. Tali documenti iconografici sono assai attendibili per lo studio dei manufatti artistici, anzi, nel caso dei gioielli si trattava di una dimostrazione pubblica dello status della famiglia ed era sicuramente la volontà dei committenti ad imporre al pittore la rappresentazione dei loro gioielli.
Il gioiello rappresentato nei dipinti dell’epoca possiede quasi sempre la stessa forma, anche se in diverse varianti: una pietra centrale squadrata, tagliata a tavola, montata su un gioiello in oro, spesso a forma di fiore. Nella parte inferiore pendono di solito tre perle di cui la centrale si presenta più grande. Il gioiello, di solito un diamante, ha un riflesso scuro, tanto che nei dipinti dell’epoca tali pietre appaiono quasi nere. Per modificare la forma e il colore occorrerà attendere l’inizio del XVII secolo, quando i tagliatori di pietre inventarono il taglio a rosa, che faceva risaltare meglio il riflesso delle gemme.
Le pietre preziose più utilizzate erano, oltre ai diamanti, i rubini, gli smeraldi e gli zaffiri, insieme alle grosse e pregiate perle. Vi sono anche delle eccezioni, come il cosiddetto “ferronière” un sottile cordoncino portato sulla sommità della testa al cui centro spesso è posta una pietra intagliata.
Anche gli anelli venivano indossati in abbondanza su tutte le dita della mano, sia dagli uomini sia dalle donne. Dall’inventario redatto alla morte di Lorenzo de’ Medici apprendiamo, ad esempio, che il Magnifico possedeva diciotto anelli, due con zaffiri, tre con smeraldi, tre con diamanti, quattro con rubini, due con balasci, due con turchine e due con le perle.
Nel Cinquecento la moda dettava di indossare, oltre agli anelli e ai soliti pendenti, anche una cintura in parure con un magnifico collare realizzato con diamanti, smeraldi o rubini, tagliati sempre a tavola, una ghirlanda nei capelli e un paio di orecchini con grandi perle. Spesso le cinture potevano portare bottoni riempiti di pasta odorifera. Oltre alle pietre preziose, i cammei e le gemme intagliate montate in oro per realizzare il gioiello, rappresentavano per gli umanisti un’importante testimonianza del passato: era come possedere la “cultura degli antichi”. Ma per la moda del tempo tali gioielli erano anche una forma di ornamento: di solito infatti erano cammei antichi montati con una cornice rinascimentale. Un esempio è il notissimo ritratto di Simonetta Vespucci realizzato da Botticelli intorno al 14801485 e conservato al Museo Stadel di Francoforte: al collo della gentildonna è appeso infatti il famoso cammeo con Apollo e Marsia.
Nel ritratto della moglie di Federico da Montefeltro, realizzato da Piero della Francesca tra il 1565 e il 1572, Battista Sforza presenta una fronte altissima, secondo la moda del tempo che prevedeva un’attaccatura molto alta rasando i capelli sulla fronte. Nel pendente, il gioiello più apprezzato nel Rinascimento, che indossa la gentildonna, sembrerebbe riconoscersi una gemma, o forse un rubino inciso. La collana e il collare sono in oro smaltato, con perle, rubini e zaffiri. Sui capelli è presente inoltre un elegante broche che ripete lo schema tipico del gioiello rinascimentale: una grande pietra al centro, in questo caso un rubino, circondato da perle, inserito su una montatura a fiore.
Le acconciature delle donne di quel tempo venivano realizzate appositamente per lasciare scoperte le orecchie, che venivano adornate di orecchini a pendente e a grappolo, mentre ogni dito delle mani doveva essere impreziosito da un anello. Nel XVI secolo non si indossarono più bracciali perché sarebbero stati coperti delle maniche che erano adorne di abbondante pizzo e che avrebbero nascosto quindi l’eventuale prezioso monile.
Diverse personalità contribuirono a far emergere e affermare le figure degli artigiani in generale e degli orefici in particolare, facendo sì che l’oreficeria si guadagnò la piena cittadinanza fra le arti maggiori.
Grazie a Cosimo I de’ Medici, grande mecenate, le botteghe di Ponte Vecchio a Firenze furono riservate agli Orafi, ai Gioiellieri, agli Argentieri, dando un notevole impulso a queste Arti e a tutti questi artigiani, che si costituirono in formazioni professionali ben regolamentate, le Corporazioni, come i battiloro, i tiratori, i filatori, i doratori e gli scultori che godevano di privilegi e protezione.
Proprio durante la grande fioritura dell’arte e della cultura, a Vicenza si mise in risalto Valerio Belli, grande orafo, incisore, medaglista, conosciuto anche come Valerio Vicentino, che risentiva dell’influenza del Buonarroti e di Pierino del Vaga, dai quali riprese alcuni disegni nelle sue incisioni. È ritenuto l’artista più in vista di Vicenza prima dell’ascesa di Andrea Palladio ed era in buoni rapporti con Michelangelo e con Raffaello Sanzio. Era in grado di incidere con rara maestria il cristallo di rocca e i cammei, ed era autore di medaglie con autoritratto.
Durante il Rinascimento si fece più stretto il legame tra Arti figurative ed Oreficeria e molti pittori e scultori dell’epoca entrarono nelle botteghe orafe: Donatello, Botticelli, Ghirlandaio, Brunelleschi, Ghiberti. Soprattutto, non possiamo dimenticare Benvenuto Cellini. Il suo celebre “Trattato sula oreficeria” e la famosa “Saliera”, che creò per Francesco I, costituirono dei punti di riferimento per il settore per almeno un paio di secoli.
Nelle immagini la famosa Saliera del Cellini in oro, ebano e smalto raffigurante la terra e il mare, e il ritratto di Simonetta Vespucci realizzato dal Botticelli.
Benvenuto Cellini, Saliera di Francesco I, ebano, oro e smalto, 26cm, anno 1540-1543, Kunsthistorisches Museum, Vienna
10. Barocco
All’inizio del XVII secolo si assiste al declino dell’influsso spagnolo sulla vita delle corti europee e al contemporaneo emergere dell’egemonia stilistica francese. Intorno al 1630 la moda trasforma gli abiti in vaporose vesti generosamente scollate con maniche rigonfie, mentre le capigliature, lasciate scendere sulle spalle in morbidi boccoli appaiono agghindate in forme meno austere. Sono costantemente presenti le perle, che apparentemente soppiantano quasi del tutto altri ornamenti, almeno per un breve periodo. Si intende inoltre ad enfatizzare le gemme, disposte in modo simmetrico e astratto, in sostituzione delle figure scolpite e smaltate preferite nelle precedenti montature.
L’ispirazione è spesso dettata dalla botanica, in particolare quando è associata alle nuove tecniche d’uso dello smalto. La tecnica per dipingere a smalto in vari colori sull’oro viene sviluppata nei primi decenni del secolo da Jean Toutin (1578-1644), originario di Chateaudun e perdurò fino alla fine del ‘600. Egli, come altri orafi francesi, eseguiva disegni preparatori, che venivano poi diffusi nel resto d’Europa tramite incisioni, tuttora conservate presso i più importanti musei di arti applicate.
Incisioni da disegni di Jean Toutin. V&A Museum
Lo strato iniziale era in genere bianco opaco, azzurro chiaro o nero e in molti pezzi si riscontra in fatti solo questa combinazione cromatica, ma i pittori su smalto più abili ottenevano comunque con un’ampia tavolozza cromatica e sottili pennellate, delicati fiori, paesaggi e scene religiose o allegoriche. Le casse e i quadranti degli orologi si prestavano in particolar modo a questo trattamento e venivano quindi decorati sia all’esterno che all’interno. Talvolta la parte anteriore del gioiello era decorata a smalto e con diamanti, ma più spesso la smaltatura era impiegata per la parte posteriore, più adatta in quanto la montatura chiusa sul retro forniva una superficie piatta.
Le principali tecniche impiegate per la realizzazione di questi pezzi in smalto, in stile “Cosse-de-pois”, erano il “email en ronde bosse” e il “champlevé”.
Lo studio della botanica e i fiori esotici che cominciano ad arrivare in Europa suscitano grande curiosità e interesse da parte delle classi abbienti e diventano fonte di ispirazione per artisti e artigiani. L’osservazione approfondita delle piante venne quindi applicata anche alla pittura e alle arti decorative, tendenza che perdurò fino alla seconda metà del XVII secolo. Questa passione ha lasciato splendide tracce nei tulipani, gigli, rose e fritillarie, incisi o dipinti con smalti policromi su medaglioni, miniature, casse di orologi e sul retro dei gioielli. I fiori sono un tema costante nelle incisione e nei libri, provenienti soprattutto dalla Francia e dalla Germania, che riproducono i modelli dell’arte orafa e ci permettono di ricostruire cronologicamente l’emergere di particolari tendenze, giacché gran parte dei gioielli dei secoli XVII e XVIII è andata perduta.
In Spagna i motivi barocchi provenienti dalla Francia stentano ad affermarsi: negli ornamenti persiste infatti l’ispirazione religiosa con pendenti, croci, reliquiari o simboli dell’inquisizione o dell’ordine di Santiago.
Pendente in oro, argento e granati. Spagna, fine ‘600. Collezione Silvia Fini
Questi gioielli venivano indossati sia dagli uomini che dalle donne, come anche complesse e lunghe catene indossate su una spalla e in diagonale sul petto, di moda fin dalla seconda metà del XVI secolo. Finalmente poco prima del 1700, si diffonde lostile barocco, che verrà apprezzato per un altro secolo.
Il fiocco è uno dei motivi più diffusi nella gioielleria barocca e deriva forse dai nastri con i quali un tempo si fissavano i gioielli. Nei ritratti eseguiti dalla metà del secolo appaiono spesso montati sopra pendenti, spille e orecchini. In genere sono decorati con pietre tagliate a tavoletta o a rosetta sulla parte anteriore e con smalto dipinto sulla parte posteriore.
I modelli di spille a fiocco con le cocche particolarmente appuntite e rivolte in basso divennero noti con la denominazione di Sévigné, in riferimento alla scrittrice francese Madame de Sévigné.
I fiocchi spiccavano anche nelle collane a nastro e nei braccialetti realizzati con nodi d’oro smaltato. Verso la fine del secolo si diffuse la moda delle cosiddette Brandenburg, lunghe spille orizzontali, analoghe alle Sévigné, ma con una disposizione più compatta delle pietre e una forma più allungata lateralmente. Spesso si indossavano insieme varie spille coordinate, disposte lungo il corpetto in ordine di dimensione.
11.Rococò
Rococò descrive un tipo di arte e architettura iniziata in Francia a metà del 1700. È caratterizzato da ornamenti delicati ma sostanziosi. Spesso classificate semplicemente come “tardo barocco”, le arti decorative rococò fiorirono per un breve periodo prima che il neoclassicismo imperversasse nel mondo occidentale. Il rococò è un periodo piuttosto che uno stile specifico. Spesso il XVIII secolo è chiamato “il Rococò”, un periodo di tempo che inizia approssimativamente con la morte del re Sole francese, Luigi XIV nel 1715, fino alla Rivoluzione francese del 1789. Era il periodo prerivoluzionario della Francia per il crescente secolarismo e la continua crescita di quella che divenne nota come borghesia. I mecenati delle arti non erano esclusivamente reali e aristocratici, quindi artisti e artigiani erano in grado di commercializzare ad un pubblico più vasto di consumatori della classe media.
Nel complesso, uno dei tratti che meglio contraddistingue il rococò è la tendenza all’eccesso.
Si passa dalle forme più raffinate e sfarzose, di lusso esasperato, volute dagli appartenenti alla classe aristocratica, alle all’eleganza sobria delle soluzioni più rigorose e razionali seguite dai borghesi e dai sostenitori del pensiero illuminista, fino alle fogge folcloristiche degli abiti dello stile pastorale e bucolico.
Nei colori si va dalle tinte più tenui e delicate dello stile francese alle tinte squillanti dei costumi esotici e orientaleggianti.
La mancanza di misura si nota soprattutto negli abiti delle dame: avevano corpini strettissimi, dalla vita da vespa e gonne esageratamente ampie, sostenute da ingombranti panier che per le loro dimensioni impedivano alle signore ogni movimento.
Le acconciature vanno dai semplici capelli raccolti sotto minuscoli cappellini, ad acconciature estremamente complesse e voluminose, con cappelli di fogge ampie e arricchiti di piume e decorazioni sovrabbondanti. Anche nelle calzature si punta all’esagerazione. Le scarpine da cerimonia sono oggetti di lusso esclusivi, realizzate in tessuti pregiati e ornate di gioielli, perle e diamanti.
Maria Antonietta, Collana di perle, XVIII sec.
Oppure, in altri casi l’altezza dei tacchi venne aumentata, arrivando ad adottare anche calzature esotiche, come quelle dell’abbigliamento “alla turca”, che sembrano quasi dei trampoli. La stessa cosa vale per il trucco, usato abbondantemente, fino a trasformare il viso in maschere di cipria.
Nel corso del suo sviluppo il costume rococò ha subito diverse trasformazioni, poiché mentre nella prima metà del secolo possiede caratteri pressoché unitari, nella seconda metà del Settecento si divise in filoni diversi e alla fine del secolo si trasformò nuovamente.
Il primo rococò, o stile Luigi XV, corrispondente al primo periodo del suo regno
il secondo rococò, corrispondente alla seconda parte del regno di Luigi XV e alla nascita del pensiero illuminista, il tardo rococò, corrispondente al regno di Luigi XVI e che termina con la Rivoluzione francese.
11.1 Il primo rococò: lo stile Luigi XV
È rappresentato soprattutto dalla figura di Madame Pompadour, e si pone come una
derivazione della precedente moda della Reggenza e si definì
come stile tipicamente aristocratico identificativo di nobiltà. Questa moda rappresentativa di lusso e raffinatezza, si diffuse rapidamente in tutte le corti d’Europa come uno stile unico, senza distinzioni nazionali, durante tutta la prima metà del ‘700.
Con il costume del primo rococò, come negli altri campi dell’espressione artistica di questo stile trionfa la luce e la leggerezza, i delicati colori pastello, i particolari resi con estrema finezza e fantasia, il decorativismo.
Altre caratteristiche della moda di questo momento sono lo slancio verticale, la ricerca di dinamismo, l’armonia asimmetrica soprattutto nelle decorazioni,
l’ispirazione al mondo della natura e soprattutto ai fiori, l’ammirazione della cultura figurativa orientale, soprattutto cinese e giapponese con gusto per l’esotico e il bizzarro, Grande importanza assunsero i tessuti di seta leggera, i pizzi, i merletti, le perle e le pietre preziose.
11.2 Il secondo rococò
Verso la metà del secolo, all’interno dello stile rococò avvennero importanti cambiamenti. la divisione nelle due varianti inglese e francese, entrambe molto apprezzate in tutta Europa. lo svilupparsi del gusto naturalistico-pastorale,
la tendenza esotica, ispirata ai costumi dei popoli orientali.
11.3 Le versioni inglese e francese
Nel corso della sua larga diffusione, infatti, il costume rococò si divise in due diverse versioni:
il filone francese, in cui continua lo stile Luigi XV, è più lussuoso e ricercato, rappresenta lo stile ufficiale degli aristocratici.
Il filone inglese, più moderno ed essenziale, preferito da borghesi e intellettuali illuministi, è espressione di un’eleganza più sobria e pratica. Lo stile inglese si diffonde in tutta Europa e anche in Francia, soprattutto nella moda maschile, ma in qualche occasione viene adottato anche nella versione femminile.
Il gusto naturalistico-pastorale a partire dalla seconda metà del secolo nella moda si introduce il gusto pastorale e bucolico largamente presente nella pittura e nell’arte dell’incisione. Anche nell’abbigliamento di corte delle dame vennero introdotti indumenti solitamente appartenenti a pastorelle e contadine, come i cappellini di paglia e il fichu, un fazzoletto piegato a triangolo portato sulle spalle dalle donne
di campagna. L’ispirazione al costume delle classi popolari da parte dei nobili, con l’utilizzo di stoffe meno pregiate e costose, come il cotone e il tessuto stampato anziché ricamato, portò come conseguenza una più facile imitazione e
diffusione anche presso le classi borghesi dell’abbigliamento
aristocratico. Tendenza esotica si manifesta già intorno alla metà del secolo, quando in Francia l’ammirazione per i costumi dell’Estremo Oriente e per le soluzioni bizzarre e insolite porta, soprattutto nell’abbigliamento femminile, alla creazione di abiti in cui le fogge orientali vengono interpretate con molta fantasia dai modisti francesi, ma mantenendo gli esagerati paniers e le abbondanti decorazioni tipiche del periodo.
11.4 La moda di fine ‘700
La diffusione della cultura dell’illuminismo incise soprattutto sul costume della classe borghese, accogliendo una nuova esigenza di rigore e semplicità che si diffuse in tutta Europa e anche in Francia.
Il cambiamento più forte sulla moda europea del Settecento venne portato dall’Inghilterra, dove il costume borghese, era ormai diffuso e cominciò ad essere adottato anche dalla classe aristocratica. La nobiltà non viveva come in Francia nell’ambiente esclusivo della corte, in una situazione di netta separazione dal popolo. Gli aristocratici inglesi partecipavano direttamente alla gestione delle loro proprietà terriere, e si dilettavano anche nello sport, soprattutto la caccia. Per questo preferivano uno stile di un’eleganza più disinvolta e semplice, in cui trovarsi a proprio agio.
La corte francese rimane ancorata ad uno stile di vita elitario ed arrogante. In questo ambiente esclusivo si scelse di distinguersi nettamente dallo stile borghese, portando avanti una visione di eleganza sfarzosa e lusso ostentato, finché il costume dell’aristocrazia francese raggiunse l’apice dell’eccesso con lo stile di Luigi XVI.
Solo nell’ultimo ventennio del secolo avvenne una definitiva svolta del costume verso un tipo di abbigliamento più confortevole e pratico, orientandosi quindi maggiormente verso le soluzioni della moda inglese. La riscoperta dell’antico, l’interesse per le culture orientali e il naturalismo sono altri importanti fattori che influenzarono la moda della fine del Settecento.
12. Le tecniche di lavorazione
12.1 Fusione in terra
La fusione più arcaica per realizzare gioielli è quella della colata in terra, in cui il metallo fuso viene colato in uno stampo, composto da una terra speciale, detta “terra da fonderia”, che alla fine del processo verrà rotta per poterne estrarre il pezzo.
La terra da fonderia era un impasto naturale di sabbia silicea, argilla e acqua. Le terre però una volta usate, perdono le loro qualità alla cottura, per cui si possono riutilizzare solamente dopo aver effettuato un certo trattamento.
A cottura ultimata il pezzo deve essere ripulito dalle incrostazioni e dai residui della fusione. È un processo elaborato, a causa della perdita della forma di base che va ricostruita ogni volta in quanto viene spaccata per l’estrazione. Si tratta di un processo poco costoso ma che può essere usato solo per spessori notevoli, non sempre compatibili con il valore dei metalli preziosi.
Per creare gioielli più sofisticati gli oggetti ottenuti dalla fusione venivano lavorati a bulino e o a cesello.
12.2 Fusione a cera persa
Il metodo consiste nel creare manualmente e usando come materiale la cera, il modello da riprodurre per intero, a cui vengono aggiunti i canali di entrata ed uscita (sempre in cera) e così si realizza lo stampo in gesso. Questo viene poi scaldato nel forno, in modo che la cera esca dai canali, e allora si cola al suo posto, all’interno dello stampo, il metallo fuso.
Poi il gesso viene rotto e si ottiene l’oggetto dal quale vanno eliminati i canali di entrata e uscita. Il gioiello viene rifinito tramite la lucidatura o ulteriori lavorazioni.
Il pregio di questo processo è l’altissima finitura superficiale del pezzo finale, che è la più alta tra tutti i processi di fonderia, ma anche elaborata per la perdita della forma di base che va ricostruita ogni volta in quanto viene spaccata per l’estrazione.
Permette di usare strati molto sottili di metallo prezioso, alleggerendo il gioiello sia come peso che come costo, lasciando invece il costo del contenuto artistico. I bronzi di Riace sono un gigantesco esempio di fusione a cera persa.
12.3 Fusione in forma permanente
Si effettua con una matrice formata da due parti, in bronzo o in terracotta. Prima che avvenga la colata si posizionano le anime, che possono essere in terra o metalliche. Le superfici della cavità sono rivestite di un materiale refrattario in modo tale da aumentare la loro durata. È l’unico modo in cui non si perde la matrice.
12.4 Cesello e sbalzo
La lavorazione del cesello e sbalzo delle lastre di oro e di argento è uno dei metodi più raffinati e difficili dell’oreficeria. Per riprodurre un disegno in rilievo su lastra si deve operare dal rovescio. Si riporta il disegno sulla lastra di dimensione superiore a quella dell’oggetto finito, per poterne rettificarne il contorno, la si fissa su un supporto di legno coperto di pece quindi con un punzone e un piccolo martello si abbozza il disegno.
Dopo un certo numero di colpi occorre procedere alla ricottura del metallo, per riportarlo alla malleabilità originaria, altrimenti diventa duro e tende a spaccarsi. Con lo sbalzo si procede a rifinire i contorni del disegno, quindi si volta la lastra e si ricomincia dal verso diritto, ossia dall’esterno, poi se necessario si ripassa ai rovescio, e così via. Per questo lavoro si usano punzoni di varie forme mentre il martello da cesellatore ha una caratteristica forma a fungo con testa larga circolare e con la penna sferica o semisferica.
La cesellatura viene invece effettuata sempre dal diritto, per rettificare i contorni di motivi già abbozzati, spesso ottenuti per fusione. Anche qui vengono usati punzoni e martello. La differenza più grande ed evidente tra sbalzo e cesello è, quindi, che nello sbalzo la maggior parte del lavoro viene eseguito dal rovescio, mentre il cesello vero e proprio viene eseguito dal diritto.
Il cesellatore batte con la mazzetta piccoli colpi continui sulla testa del cesello che tiene con la sinistra, stretto fra il pollice e l’indice, mentre il medio e l’anulare lo dirigono spostandolo leggermente dopo ogni colpo.
I romani erano grandi esperti in tutti questi tipi di fusione che si usano tutt’oggi.
13. Arts & Craft
Arts and Craft Movement (movimento delle arti e dei mestieri) fu un’associazione artistica per la riforma delle arti applicate, una sorta di reazione colta di artisti ed intellettuali all’industrializzazione galoppante del tardo Ottocento.
Tale reazione considera l’artigianato come espressione del lavoro dell’uomo e dei suoi bisogni, ma soprattutto come valore durevole nel tempo e tende a disprezzare i pessimi prodotti, per la bassa qualità dei materiali, per le forme e per il miscuglio confuso di stili, distribuiti dalla produzione industriale.
Le radici di pensiero di questo movimento si sviluppano dalle considerazioni di Augustus Pugin sull’enfatizzazione dello stile gotico, quale unico stile che contiene i principi della cristianità e, di conseguenza, della purezza e dell’onestà, incapace di nascondere, con la sua struttura snella leggera e trasparente, i principi alla Seguace di Pugin fu John Ruskin, (1819-1890) il quale afferma che il nuovo stile deve nascere sulle orme del lavoro medievale, caratterizzato dalla semplicità del lavoro dell’uomo e pertanto, concettualmente in contrapposizione alla freddezza dell’industria. Fu proprio Ruskin a scoprire, nella sua attività di critico d’arte, i Preraffaelliti, tra cui si distingueva William Morris, portavoce del movimento dell’Arts and Crafts.
Altro protagonista indiscusso e fondatore del movimento fu William Morris, i suoi ideali si basavano sulle antiche corporazioni medievali. Il Medioevo viene visto come un periodo felice, con una società più coesa e quindi modello antindustriale.
La sua produzione di tappeti, tessuti, mobili, metalli, quindi nasce come antindustriale, tuttavia pone le basi dei principi del design moderno, poichè è una produzione eclettica, ariosa e molto più moderna dell’oggetto industriale del tempo; nonostante questo, è destinata a fallire per i suoi costi elevati e per l’impossibilità di distribuire i suoi prodotti ai vari strati sociali.
Morris condivide con Ruskin, i principi fondamentali dell’analisi sulla degenerazione dei gusti, ed entrambi la imputano al forte condizionamento subìto dal consumantore, dall’artista e dal produttore, causato dalla struttura socioeconomica basata su modelli industriali.
Verso la fine degli anni 70 del XIX sec. L’Inghilterra e il resto d’Europa caddero in una profonda crisi che provocò una forte emigrazione. Il totale fallimento del sistema industriale si tradusse in un netto rifiuto alla meccanizzazione compresa quella argentiera; ci fu quindi un ritorno alla produzione artigianale.
Il movimento Arts and Crafts nasce ufficialmente nel 1884, con la fondazione di una corporazione di artigiani e artisti dilettanti che producevano manufatti di design innovativo. Tale movimento fu poi copiato in tutto il mondo. John Ruskin Chiaramente anche qui ebbe un’influenza dominante sul gusto degli intellettuali del periodo vittoriano.
Annoverò artisti del calibro di Charles Robert Ashbee, Alfred Gilbert (autore nel 1887 di un centrotavola in stile barocco per celebrare i cinquant’anni di regno della Regina Vittoria) e tanti altri divenuti in seguito personaggi importanti. Egli auspicava il ritorno sia ai metodi di produzione artigianale sia all’organizzazione sociale del medioevo.
Fu poi nel 1861 che William Morris condividendo molte teorie di Ruskin tentò di ridare vita ad un’arte; il suo lavoro è stato il punto di partenza per la fondazione di Arts & Crafts Movement, dove venivano riuniti tutti i disegni e i modelli di mobili, tappeti, litografie e, incoraggiò i metodi di produzione artigianale.
Fu il rinnovato interesse per le varie tradizioni e i vari miti e movimenti celtici l’elemento che maggiormente influenzò il movimento Arts & Crafts al volgere del XX secolo.
William Morris, Motivo decorativo floreale, XIX sec.
Altro personaggio fondamentale per la storia del gioiello fu Archibald Knox, nato sull’Isola di Man e molto probabilmente venne influenzato dalla congenita eredità celtica a diventare egli stesso designer.
Gli antichi Celti erano molto versati nella lavorazione dei metalli e spesso decoravano i loro manufatti con smaltature a fuoco. La tradizione artigianale celtica si basa su modelli stilizzati ispirati piuttosto che copiati direttamente dalla natura.
Arrivò a Londra nel 1897 e coinvolto da Arthur Lozenby Liberty, Knox iniziò così a creare progetti, che poi vendette per le collezioni Cymric e Tudric, che contribuirono in modo sostanziale alla loro reputazione, rendendolo inoltre un tutt’uno con il nome Liberty & Co.
Oggigiorno, il lavoro di Knox è famoso prima di tutto per l’oggettistica in peltro, per cui disegnò
Archibald Knox, Collier, circa 1900
14. Gioielli nel ‘900
La questione, con i gioielli, è che il loro significato va ben oltre la loro apparenza. Una collana, un anello, un paio di orecchini hanno sempre una storia alle spalle, una ragione d’essere che li rende unici per chi li possiede. Questa è la premessa imprescindibile da cui partire per analizzarne storia ed evoluzioni: nessun altro ornamento (abiti o accessori che siano) ha la stessa valenza “morale”; l’acquisto di un gioiello (anche per l’impegno economico) è sempre dovuto a un motivo preciso: una ricorrenza, un evento, un momento da ricordare. E poi si tramandano di generazione in generazione, diventando parte della storia stessa di una famiglia.
Fermi restanti questi principi, va però rivelato come nel Novecento il suo ruolo nel costume cambi drammaticamente e definitivamente. I gioielli diventano un tutt’uno con l’estetica in corso, procedendo di pari passo con mode, manie ed eventi che condizionano l’assetto mondiale. Riflettono gli afflati creativi e le necessità che si susseguono. La loro nozione diventa magmatica, indefinita.
Citando Alba Cappellieri “non esiste la storia del gioiello, ma esistono le storie del gioiello”, una concatenata all’altra, e non necessariamente in armonia tra loro. Ed è giusto che sia così, visto che il XX secolo è un periodo di enormi contrasti, di rivoluzioni culturali e sociali come mai s’erano viste prima: e i gioielli sono parte integrante di tutto questo.
Si inizia con l’Art Nouveau, col genio di René Lalique e Georges Fouquet, perfetta incarnazione di un inizio secolo all’insegna della pace e del benessere che conduce a un ritorno alla natura, a un immaginario sofisticato e “bucolico”, per poi mettersi improvvisamente in pari con la realtà. Arrivano da lì il boom dei sautoir negli anni ’20, o la frenesia per lo stile “all’Antico Egitto” scatenatosi nel ’22 con la scoperta della tomba di Tutankhamon (risalgono ad allora i gioielli di Cartier con incastonati antichi scarabei di turchesi), fino all’introduzione di nuovi materiali, meno cari, anche loro diretta conseguenza del drammatico crollo della Borsa nel 1929. Il bronzo dorato, il cristallo di rocca, gli esperimenti col cromo sono tutti figli di quella necessità; e, visto che il bisogno aguzza l’ingegno, iniziano a moltiplicarsi anche le sperimentazioni su forme e volumi, assai lontani dalla tradizione sino ad allora dominante.
Passati i rigori delle guerre, si passa poi dall’idea di prezioso come tesoro di famiglia da costudire ed esibire soltanto in occasioni speciali, all’idea di un suo uso “quotidiano”, a prescindere dal momento. Basti pensare a come Tiffany & Co. Sia riuscito nel tempo a entrare nel mito sia con i pezzi più spettacolari che per quelli più abbordabili: le code fuori dai suoi store in tutto il mondo degli aspiranti acquirenti dei ciondoli a forma di cuore, delle catene e delle targhette militari d’argento lo testimoniano.
Per non parlare di chi, come Bulgari, riesce a esprimere la moda (intesa nel suo senso più alto) attraverso le pietre dure, gli intagli e gli incastri cromatici: il gioiello diventa un pezzo di moda in tutto e per tutto.
15. Art Nouveau
L’Art Nouveau (“Nuova Arte”) è un movimento artistico-filosofico che nasce in Francia tra la fine dell’Ottocento e le prime decadi del Novecento e si diffonde in tutta Europa con nomi diversi nelle diverse nazioni: in Italia, ad esempio, l’Art Nouveau è conosciuta come “Stile Liberty”. Il periodo storico dell’Art Nouveau coincide con quella che viene ricordata come la “Belle Époque”. Da un punto di vista visivo, le opere dell’Art Nouveau (dipinti, statue, architetture) sono caratterizzate da un’accentuata eleganza decorativa e da linee dolci e sinuose che si incontrano e si intrecciano armoniosamente. L’Art Nouveau si ispira alla natura stilizzandone gli elementi, tanto che in Italia lo stile Liberty è conosciuto anche come “Stile floreale”. Tra i precursori dell’Art Nouveau in Europa c’è sicuramente l’architetto catalano Antoni Gaudì, le cui strutture riprendono temi naturali come rami, grotte e ossa.
In Italia il nome “liberty” deriva da quello dei magazzini fondati a Londra nel 1875 da A. Lasenby Liberty, specializzati nella vendita di prodotti provenienti dall’estremo oriente. Una delle caratteristiche chiave dell’Art Nouveau infatti è il fascino per terre lontane e misteriose.
È uno stile che riguarda pittura, disegno, architettura ma anche design e artigianato. L’Art Nouveau nasce come reazione alla produzione industriale di oggetti in serie resa possibile dai processi di automazione di fine Ottocento. Per fuggire alla massificazione del prodotto, gli artisti dell’Art Nouveau lo innovavano, lo abbellivano con un tocco personale per renderlo unico.
Altri artisti noti legati all’Art Nouveau sono il già citato Antoni Gaudì, Gustav Klimt e l’architetto italiano Pietro Fenoglio
Lo stile Liberty creò una serie di gioielli dalle linee morbide e i toni delicati, per la realizzazione dei quali oltre, all’uso di materiali pregiati, era indispensabile l’abilità orafa del gioielliere.
La decorazione a smalto era tra le più utilizzate e, in particolare, una delle tecniche adoperate, era quella del plique-à-jour ossia un sistema di applicazione di smalti in cui gli alveoli (i cloisons), in cui le paste vitree sono colate, sono privi di fondo, senza supporto in metallo, in modo da consentire alla luce di trapassarli creando l’effetto di vetrat tipico delle realizzazioni liberty.
Monili in vetro furono realizzati da R. Lalique. Un altro materiale simile al vetro era la pàte de verre (pasta di vetro) che permetteva una varietà di lavorazione maggiore.
Un altro materiale adoperato era il corno che era sbiancato e con il quale si producevano pettini per capelli.
Verso la metà degli anni venti emerse la moda del bianco e nero e, quindi, all’uso frequente dell’onice nero e, nel metallo, del platino.
Un materiale inusuale è adoperato dall’orafa del Bauhaus Naum Slutzky la quale lavorò oltre all’argento anche l’ottone cromato. Nel settore delle incastonature nel 1935 fu introdotta una novità da Van Cleef & Arples che realizzarono incastonature invisibili per creare con le pietre un effetto mosaico. Le pietre dovevano essere tagliate a calibrè, cioè in base all’esatta posizi0one del disegno, ed erano tenute insieme da sottili aste metalliche invisibili poste sotto la superficie.
L’ Art Nouveau ebbe vita breve nel campo della gioielleria, dove si manifestò tra il 1895 e il 1910. Sebbene la sua influenza sia stata particolarmente sentite nella prima decade del Novecento, le sue radici e la sua piena maturazione sono da ricercarsi nell’ Ottocento. La natura, e la sua associazione con la femminilità, fu il leitmotiv dell’Art Nouveau, come già il naturalismo era stato una delle correnti più importanti dell’Ottocento, ma la sua interpretazione assunse ora un aspetto completamente differente, abbandonando il realismo imitativo e retorico e abbracciando immaginazione, creatività e vividezza d’ interpretazione.
Lo scopo dell’Art Nouveau era quello di evocare, piuttosto che ritrarre o copiare la natura. In gioielleria, il manifestarsi dell’Art Nouveau non avrebbe potuto essere possibile senza l’ossessione botanica di Oscar Massin e senza la scoperta dell’arte giapponese, che aveva aperto la via alla stilizzazione del mondo naturale, caratterizzata da una rigida economia di linee asimmetriche ma fluide. I soggetti preferiti dai gioielli Art Nouveau furono quelli della tradizione naturalistica ottocentesca: fiori, insetti, serpenti e animali.
Per secoli la raffigurazione delle forme femminili era stata esclusa dai gioielli, quasi come se le donne detestassero l’idea di adornarsi con le fattezze di un’altra donna. L’ Art Nouveau fece del profilo femminile e del sensuale corpo muliebre nudo i suoi emblemi, e la donna alla fine del secolo, conscia ormai della propria posizione nella società e della sua femminilità, indossò tali gioielli con entusiasmo.
L’Art Nouveau tese a subordinare al dominio della natura non solo i motivi decorativi, ma anche i materiali, che venivano scelti di volta in volta per i loro meriti artistici e non per il valore intrinseco. Corno, opali, smalti, pietre di luna, vetro stampato, calcedonio, agate, perle e crisoprasi furono preferiti ai diamanti e alle pietre preziose colorate. Il materiale preferito dai gioiellieri sensibili al fascino dell’Art Nouveau fu lo smalto, per il quale essi rinnovarono antiche tecniche e ne introdussero di nuove.
IL genio dell’Art Nouveau fu René Lalique (1860-1945), un vero innovatore la cui opera presto divenne d’ esempio per gioiellieri, sia in Europa sia in America. La produzione iniziale di Lalique, rivenduta da famosi gioiellieri quali Boucheron, Cartier e Vever, era in convenzionale stile naturalistico. Lalique presto cominciò a introdurre nelle sue creazioni fantasia e originalità; tra il 1880 e il 1890 e agli inizi del decennio successivo, egli si dedicò allo studio delle tecniche di produzione degli smalti e cominciò a sviluppare uno stile veramente personale e del tutto originale, in cui disegno artistico e abilità tecnica erano perfettamente combinati.
Rene Lalique, Gioiello- Libellula, 1897, oro, smalti, pietre di luna e diamanti, h. 23 cm, lungh, 26,6 cm.
Museo Calouste Gulbenkian Lisbona.
Tra i suoi pezzi più riusciti vi è una spilla a forma di Libellula, commissionata da Calouste Gulbenkian. Se si osserva l’oggetto nel dettaglio, ci si accorge che esso è la sintesi di vari elementi, frutto della fantasia dell’artista. Presenta il busto di una donna e il corpo di un animale che rievoca un pesce e che allunga degli artigli che si incrociano con le ali.
Tiffany & Co. e Marcus & Co. spesso lavorarono in uno stile molto vicino a quello di Lalique, specializzandosi in gioielli d’ arte, caratterizzati dall’ uso di smalti champlevé e plique-à-jour, e di pietre semipreziose. Parallelamente allo sviluppo di questi stili innovativi, la corrente della gioielleria tradizionale continuò a scorrere tranquilla, a volte marginalmente sfiorata dall’ influenza dell’Art Nouveau e rielaborando vecchi disegni.
Il naturalismo raggiunse il suo apice, e tra il 1880e il 1890 furono realizzate creazioni botaniche di perfetta esecuzione: sontuosamente e riccamente montati con diamanti, questi gioielli potevano a mala pena essere indossati anche sui rigidi corpetti dell’epoca. I gioiellieri, per un momento, sembrarono dimenticare che i gioielli dovevano essere anche pratici e portabili, non solamente perfetti e tridimensionali.
La moda intensamente femminile dell’ultimo decennio del secolo, che metteva in risalto le curve naturali della figura senza alterarle, portò con sé metri e metri di tessuti leggeri e vaporosi, quali pizzi e tulle, da drappeggiare e arricciare sui corpetti. I gioielli si dovettero adattare a questa nuova moda e divennero piccoli e leggeri. Sul finire del decennio 1880-1890, fecero la loro comparsa spille a forma di mezzaluna e falce di luna, che divennero l’ornamento più frequente della decade successiva e furono indossate sia appuntate sul tulle e sui pizzi drappeggiati sui corpetti, sia assicurate tra i capelli per mezzo di speciali forcine, che venivano invariabilmente fornite col gioiello stesso.
Quasi contemporaneamente, comparvero in gran numero tra i capelli e sui corpetti delle donne alla moda gioielli a forma di stella. Di disegno più elaborato e più tridimensionale rispetto a quelle del decennio 1860-1870, queste stelle rimasero in grande favore fino alla fine del secolo. Gli insetti, comparsi in gioielleria tra il 1860 e il 1870, raggiunsero l’apice della loro popolarità sul finire del secolo, e sciami di mosche, api e farfalle si affollarono sul décolleté e acconciature in combinazione con stelle e mezze lune.
I diamanti, bianchi e brillanti, che già erano diventati la gemma par excellence tra il 1870 e il 1880, raggiunsero l’apice della loro popolarità nell’ ultimo decennio del secolo. I diamanti erano ormai relativamente abbondanti sul mercato e a prezzi accessibili; si sviluppò, di conseguenza, un nuovo interesse per la qualità delle pietre e molte donne alla moda preferirono un solo grande esemplare di buona qualità a una moltitudine di diamanti più piccoli.
16. Art Decò
Alla fine della Prima guerra mondiale, la reazione a quattro anni di sofferenze e privazioni si manifestò sotto forma di un periodo di esaltazione, creatività e joie de vivre. Il nuovo motto era “Vivere e dimenticare il passato”. Le tradizioni, la moda e i valori della società prebellica furono presto messi da parte. L’ etichetta cambiò, il conformismo fu rifiutato e la libertà d’ espressione divenne la nuova regola.
La guerra aveva cambiato profondamente il ruolo della donna nella società. Durante il conflitto molte si erano dedicate alle attività abbandonate dagli uomini costretti al fronte: guidare ambulanze, lavorare nelle fabbriche, nelle fattorie e negli edifici. Le delicate creature dei primi anni del secolo si erano trasformate in donne forti e mature, consce della loro abilità e della loro competenza in queste nuove attività.
Corpetti stretti, gonne lunghe e pettinature elaborate furono abbandonate in favore di abiti più corti e pratici e di capelli tagliati alla maschietta, che permisero alle donne di dedicarsi ai nuovi impegni con maggior libertà. Finita la guerra, molte donne, fiere della loro emancipazione, rimasero nel mondo del lavoro e favorirono la nuova tendenza della moda verso un look mascolino, caratterizzato da una silhouette esile e piatta e da capelli tagliati à la garconne.
I pantaloni divennero naturalmente un simbolo della donna emancipata, che amava indossarli di giorno, mentre la sera preferiva abiti sexy e drammatici. Mai in precedenza la moda da giorno era stata così differente da quella da sera: gli abiti da giorno, corti, geometrici ed essenziali venivano sostituiti la sera con fluide tuniche senza maniche, che nascondevano le curve del corpo femminile, ma si aprivano in profonde scollature sulla schiena.
Il punto vita, spesso sottolineato da una fusciacca decorata con una spilla, si abbassò sui fianchi, mentre le gonne si accorciarono tanto da rilvelare le ginocchia e spesso si aprirono in spacchi per permettere alle donne maggiore libertà di movimento in danze quali il charleston, il tango e il foxtrot.
Il sarto responsabile di questo mutamento radicale nella moda femminile fu Paul Poiret. La donna androgina, ma allo stesso tempo sexy, degli anni Venti amava truccarsi drammaticamente con rossetto rosso brillante, cipria molto chiara e matita nera, usata pesantemente per sottolineare gli occhi. L’effetto esotico e misterioso così ottenuto era intensificato dai morbidi cappelli a cloche indossati bassi sulla fronte.
Sul finire degli anni Venti Coco Chanel lanciò la sua moda sportiva, ma allo stesso tempo di classe ed elegante, che doveva rimanere in voga per parecchio tempo. Il suo classico tailleur (accompagnato da metri di fili di perle, naturali o d’imitazione e da metri di catene d’oro o dorate) divenne l’indumento indispensabile per la donna alla moda.
La moda degli anni Trenta fu generalmente più sobria: il punto vita ritornò in una posizione più naturale e morbidi e informi corpetti lasciarono il posto a indumenti più femminili, che ancora una volta sottolineavano le curve naturali della figura femminile. La moda degli anni che seguirono la crisi economica del 1929 si astenne decisamente dagli eccessi che avevano caratterizzato gli anni Venti.
Per il giorno i rigorosi tailleur di Chanel, pratici e confortevoli, divennero l’indumento più tipico dell’epoca, mentre la tendenza dell’abbigliamento da sera è particolarmente ben rappresentata dai lunghi abiti femminili di Madame Grès e Madeline Vionnet che, tagliati in diagonale e drappeggiati con sete e satins lucidi e preziosi, avviluppavano il corpo.
La cloche tipica degli anni Venti lasciò il posto a cappelli le cui forme a tricorno, a turbante e a toque lasciavano via libera all’ immaginazione delle modiste. Per adattarsi a queste rivoluzionarie innovazioni della moda, anche i gioielli dovettero cambiare. Le grandi spille floreali dell’Ottocento non erano adatte a questi abiti dinamici e leggeri, né lo erano i devant de corsages e gli scomodi e stretti colliers de chien del primo Novecento.
I gioielli seguirono disegni più geometrici e lineari: lo stile ghirlanda, che aveva fatto largo uso di motivi femminili e delicati con una predominanza di bianco, nero e colori pastello, fu sostituito da un’abbagliante esplosione di vivaci colori primari. I gioielli divennero accessori strettamente dipendenti dalla forma e dai colori degli abiti con i quali venivano indossati, piuttosto che preziosi ornamenti simbolo di ricchezza, come era stato negli anni che avevano preceduto la guerra.
Molte donne alla moda, ossessionate da un ideale di perfezione, fecero addirittura disegnare appositamente abiti che si adattassero a un gioiello di particolare importanza. Paradossalmente, la donna degli anni Venti, a mala pena coperta dagli abiti, amò coprirsi di gioielli: molti bracciali erano indossati sullo stesso braccio lasciato nudo dagli abiti da sera.
Per la donna sportiva, attiva ed emancipata, indossare un orologio – simbolo del nuovo stile di vita frenetico e dinamico – divenne di rigore sia di giorno sia di sera. Preziosi orologi da sera tempestati di gemme fornirono ai gioiellieri un nuovo campo in cui esercitare la loro immaginazione e la loro creatività.
Il gioiello ideale degli anni Venti doveva essere il completamento di un particolare abito, un ornamento disegnato espressamente per una donna ben precisa, o scelto per adattarsi ai suoi gusti, al suo stile di vita e alla sua persona. Il valore intrinseco e la qualità della lavorazione dovevano a loro volta essere complementari.
Sia le famose maisons di gioielleria sia i gioiellieri-artisti rifiutarono ornamenti ripetitivi prodotti in massa. Il risultato fu una produzione estremamente varia e ricca, che trovò fonti d’ ispirazione nelle civiltà dell’Estremo e Medio Oriente e dell’America del Sud, ma affrontò anche la gioielleria con una nuova libertà creativa, sensibile alle contemporanee correnti stilistiche della pittura e della scultura.
Le nuove parole d’ ordine per le arti decorative erano: geometria, contrasto cromatico, linearità e stilizzazione. Queste qualità divennero l’emblema della “moderna” gioielleria art déco. La famosa Exposition Internationale des arts Décoratifs et Industriels Moderns di Parigi del 1925, che diede il nome al nuovo stile, dedicò ampio spazio alla gioielleria.
I Secessionisti viennesi, con il loro stile austero che aveva confinato le fluide linee dell’Art Nouveau entro i contorni rigorosamente geometrici e aveva cercato di ridurre ciascun oggetto alle sue linee funzionali e di abolire ogni ornamento decorativo superfluo, giocarono una parte molto importante nell’ evoluzione del disegno verso geometria, stilizzazione ed essenzialità.
Allo stesso modo in Germania il Bauhaus, fondato nel 1919 a Weimar da Walter Gropius, promosse il ritorno, nelle arti e nell’ artigianato, a concetti basilari ed essenziali, privi di ogni ornamentazione superflua, in cui gli ideali estetici erano combinati con la funzionalità.
L’ ossessione per il colore di Matisse, Dufy e di altri fauvisti, portò ad abolire la prospettiva, il chiaroscuro e il dettaglio in favore di contrasti cromatici e di linee essenzialmente semplici. Il futurismo fu un altro movimento artistico che influenzò notevolmente i disegni di molti gioiellieri d’ avanguardia. Il manifesto futurista di Marinetti, che celebrava la velocità, le macchine e la frenesia della vita urbana, suggeriva che l’ispirazione artistica doveva venire proprio dal mondo meccanico e incoraggiò la rimozione di tutti gli eccessi decorativi in favore di linee geometriche.
I gioiellieri-artisti più famosi dell’epoca furono George e Jean Fouquet, Gerard Sandoz, Raymond Templier,Jean Desprès, e Jean Dunand. La loro ossessione per il modernismo e l’abolizione totale di ogni eccesso decorativo li incoraggiò a lasciare la Société des Artistes Décorateurs. Nel 1929, Fouquet, Templier e Sandoz, presto seguiti da Desprès, entrarono a far parte dell’Union des Artistes Modernes, altrimenti nota con la semplice sigla UAM.
Spilla Art Deco di Smeraldi e Diamanti, anni 1930, by Cartier.
17.Bauhaus
Il Bauhaus fu uno straordinario laboratorio della modernità, caratterizzato da fortissimi accenti di interdisciplinarietà tra movimento e le avanguardie artistiche. Nel 1919 Walter Gropius decise di fondare a Weimar, nel cuore della Germania, un nuovo modello di scuola d’arte che denominò BAUHAUS (“casa del costruire”), Istituto-università d’arte e mestieri. Una casa del costruire che come forma di “dissenso” avanzava solo l’ambizione di rinnovare culturalmente e socialmente la concezione dell’architettura, basata sull’esperienza diretta del “fare artistico”, sulla ricerca di metodi e tecnologie nuove assai per quei tempi, e sulla verifica delle esigenze psicologiche dell’uomo.
“Una nuova comunità di artefici, senza le distinzioni di classe che provocano un’arrogante barriera tra artigiano e artista”. (Walter Gropius, 1919)
È necessario sottolineare che la scuola Bauhaus dette molta importanza e diffuse, applicandolo in qualsiasi settore di produzione, l’uso del disegno tecnico e industriale, di tutte quelle tecnologie preparatorie cioè̀, volte a rappresentare nel dettaglio e con cura l’immagine di un prodotto da realizzare e commercializzare. Possiamo forse addirittura affermare che il Bauhaus inventò il concetto moderno di disegno tecnico e in altri termini il concetto stesso di Design.
Doveva essere una scuola diversa da quelle tradizionali, risultante dalla fusione dell’Accademia di belle Arti e della Scuola di arti applicate di Weimar, basata (fatto di rivoluzionaria modernità) sulla collaborazione tra maestri e allievi.
Gli artisti del Bauhaus, tra cui Kandinskij e Klee credevano nella libertà dell’espressione artistica, nel valore educativo dell’arte e nella necessità di tradurla in forme e oggetti di uso quotidiano: da qui l’esigenza di un rapporto sempre più stretto tra progettazione e produzione, una concezione che sta alla base del moderno design.
Il Bauhaus ebbe dunque come obbiettivo principale quello di conciliare creazione artistica e metodo artigianale con la produzione industriale, unendo cioè il valore estetica di un oggetto, la sua bellezza, con la componente tecnica e funzionale di una produzione anche su vasta scala e alla portata di un pubblico sempre più ampio.
In tal senso anche la produzione orafa ricevette nuova linfa creativa da questa metodologia di lavoro. Questa produzione del gioiello rientrava nella disciplina relativa all’insegnamento tecnico sul materiale metallo. I gioielli di produzione Bauhaus si ispirano specialmente al lavoro di uno dei più autorevoli docenti dell’arte del metallo: László Moholy-Nagy.
L’oreficeria è stata fondamentalmente da sempre classificata come un’arte minore o come artigianato. La Scuola della Bauhaus invece integra appieno l’oreficeria nella categoria delle arti, sviluppando le proprie teorie sul lavoro simbolico dell’artigianato nella società industriale.
Accanto a loro s’inizia ad avvertire già nella prima metà del XX secolo, caratterizzata da diversi stili nella produzione dei gioielli, l’esigenza di una produzione in linea con i gusti del nuovo pubblico borghese e finalizzata a diffondere il bello in ogni classe sociale. Questo obiettivo era portato avanti dai vari artisti dell’Arts and Crafts in Inghilterra, e della Wiener Werkstatte in Austria
Le teorie del Bauhaus vennero elaborate in tal senso appieno nell’arte orafa di Naum Slutzky (1894-1965), che lavorò principalmente con l’ottone cromato, un materiale inusuale al tempo, oltre che con l’argento, materiali utilizzati per realizzare gioielli dalle forme geometriche ed essenziali.
Naum Slutzky, Collana tubi di ottone cromato
Oltre lei, sono da ricordare molte donne che osarono dedicarsi in quel tempo a un’attività destinata agli uomini, e che innovarono il concetto di disegno decorativo nell’oreficeria, trasformandolo in un’espressione d’arte. Donne orafe come le prestigiose artiste Paula Straus ed Emmy Roth, che negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso, produssero gioielli di chiara impronta Bauhaus.
18.Anni ’60 ‘80
Gli anni di guerra videro privazioni a tutti i livelli. L’effetto sull’industria del gioiello fu estremo. La distruzione dei canali di spedizione che rifornivano di pietre preziose i gioiellieri fu virtualmente tagliata fuori. Il metallo prezioso e in particolare il platino, fu requisito dall’industria bellica e l’oro doveva essere fornito per la maggior parte dai clienti. Questo richiese un importante cambiamento nell’aspetto dei gioielli i quali ora si presentavano in oro giallo, grandi pietre semipreziose e audace forme scultoree. Gioiellieri come Susanne Belperron, Jeanne Toussaint per Cartier, Verdura e Schlumberger iniziarono a produrre stravaganti, audaci, colorati e fantasiosi gioielli che si basavano sulla forza del disegno piuttosto che sull’importanza del materiale. La più eleganti donne dell’epoca, quali erano la Duchessa di Windsor e Daisy Fellows -sempre alla ricerca di innovazioni- aiutarono notevolmente a diffondere questi nuovi disegnatori. l dopo guerra, il quale inizia con i razionamenti in Europa, fu un periodo di boom economico negli Stati Uniti, che diventarono rapidamente il primo mercato mondiale per il consumo di gioielleria. Firme come Harry Winston e Tiffany videro la domanda crescere rapidamente e i grandi diamanti diventarono improvvisamente di moda. In Francia, Cartier e Van Cleef & Arpels capitalizzarono rapidamente sul flusso dei turisti americani al fine di compensare la mancanza di clientela locale.
Il fascino di Hollywood aiutava e rafforzava la moda per il lusso, a dispetto del fatto che l’Europa era ancora e solo spettatrice. Infatti, in Gran Bretagna i primi anni del dopoguerra videro un declino nell’indossare importanti gioielli – i proprietari temevano di essere accusati di avere approfittato della guerra per arricchirsi. Lo stato d’animo generale di forzata austerità non era, in ogni modo, favorevole all’ostentazione di oggetti sontuosi, questo forse dovuto a una diversa educazione. La dimensione dei gioielli degli anni di guerra fu mantenuta. L’oro giallo continuava a essere alla moda durante il giorno e all’ora dei cocktail, e la moda dei gioielli finti o bigiotteria si afferma definitivamente. Per un po’, le spille diventarono il gioiello dominante e accessorio indispensabile, indossate sul soprabito, sulla spalla, sul cappello e anche sulla borsetta. Per i diamanti predominava ancora il metallo bianco. Per rispondere alla mancanza di platino durante la guerra, furono realizzate nuove leghe di oro bianco rodiate superficialmente per conferirgli un aspetto simile al platino.
Gli anni ’50 e ’60, sono spesso caratterizzati da uno stile che traeva la sua ispirazione dal cinema di Hollywood e molto di frequente anche dai cartoni animati Disney, con rivisitazione dei gioielli di corte del 18° secolo. Dior con la sua moda fatta di gonne ampie, vita stretta e scollature molto strutturate era il dominatore assoluto dell’alta società. Parigi e New York rimasero i Titani dell’industria orafa, ma nei primi anni ’60 anche l’Italia iniziò a competere contro di loro sul mercato internazionale. La dolce vita di Fellini suscitò un interesse per la moda e il modo di vivere spensierato e ottimista degli italiani, in contrapposizione all’austera maniera dell’Europa settentrionale. Le firme romane di Bvlgari, Petochi, Cazzaniga e altri, collegati alle case milanesi e fiorentine come Cusi, Faraone, e Settepassi portarono la gioielleria italiana sul palcoscenico del mondo. In Inghilterra la fine del decennio vide un fiorire di avanguardie, guidate dall’artista pluripremiato Andrew Grima. Il suo design iconoclasta astratto incorpora cristalli di gemme allo stato grezzo, incastonate in metallo prezioso allo stato lavico in modo sontuoso. La popolarità di questo movimento fu abbracciata dalle case parigine, tra queste Chaumet che continuò questa moda fino agli anni ’70. Intorno al 1974, a causa della prima crisi petrolifera, l’occidente piombò in una profonda recessione. Il Medio Oriente con le sue nazioni ricche di petrolio, con alti redditi, cominciò ben presto a dominare il mercato del gioiello il quale cambiò con la stessa rapidità per accontentare il gusto della nuova clientela. Impressionanti parure di gioielli, una tendenza che non si vedeva in Europa dai tempi della Belle Époque, furono avvistate nelle vetrine ricolme di Place Vendôme e Madison Avenue. Lavorate in oro giallo, e non più in platino, incastonate con rubini, zaffiri, smeraldi e diamanti, queste parures, tutte conformate a un rigoroso e monotono design codificato, sono rappresentative di quel periodo. Illustrano comunque cosa poteva fare la creatività nella gioielleria, o cosa poteva diventare reinventando se stessa, vi sono sempre imperativi economici che dominano e che impongono al mercato le tendenze del momento.
La passione per i gioielli nel campo collezionistico doveva aspettare ancora un decennio, prima che l’interesse nella storia del gioiello prendesse piede in maniera stabile; questo fa nascere una serie di pubblicazioni sulla storia del gioiello come mai si era visto prima. I gioielli del 19° e 20° secolo, verso la fine degli anni ’70 venivano smontati per recuperare le gemme e rimontarle in nuovi modelli. Vi sono stati casi in cui bracciali degli anni ’30, con grandi brillanti, erano smontati subito appena dopo venduti dalle case d’asta. Di certo questo ha contribuito alla relativa scarsità di diamanti di grande dimensione incastonati su gioielli anteguerra che oggigiorno si riscontra sul mercato. In Europa, come risultato della recessione degli anni ’70 e della prima parte degli anni ’80, erano indossati pochi gioielli importanti; invece, erano preferite le gioie finte o bigiotteria, anche dalla buona società. C’era un crescente pericolo sociale, per cui i gioielli divennero fuori moda e socialmente inaccettabili. La situazione era esacerbata dalla mancanza di una produzione che seguisse il gusto occidentale, mentre la predominanza di quello medio – orientale ispirava gioielli che non potevano essere indossati, ma erano visti come un qualcosa fuori dalle idee del tempo, in piena austerità. La fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, coincidono con una crescita economica in Europa e America, un rinnovato interesse per i gioielli comincia a riapparire, nutrito da un nuovo interesse culturale. Uno dei fenomeni che prese piede negli anni ’80, fu l’interesse dei giapponesi per i gioielli occidentali, per questo Cartier creò un marchio denominato “Must de Cartier”, specializzato in orologi e gioielli abbordabili per questa nuova clientela, con un design riconoscibile e riconducibile immediatamente alla casa madre. Bvlgari utilizzo il proprio nome come motivo decorativo, ponendolo a lettere capitali sulla lunetta di un modello. Altri grandi gioiellieri crearono linee di gioielli denominate “diffusion” con più o meno successo. Il ritorno a una gioielleria più eticamente liberale, e contemporaneamente al decrescente interesse per i gioielli dal mercato medio – orientale, preannunciarono un graduale ritorno dell’oro bianco e del platino con un crescente interesse per le gemme di colore. Gemme che erano state dimenticate per cento anni, ora erano riscoperte e giustamente apprezzate, come tra le altre, gli zaffiri multicolor, topazi, olivine verde mela, spinelli rosso fragola, e rubelliti. La varietà di colori con cui il diamante appare in natura, e le rare tinte, tra cui, il blu, il rosa, il giallo vivido in particolare, erano oggetto di collezione da parte della clientela benestante di questi anni ’80.
La fine del Ventesimo Secolo rispecchia il precedente fin de siecle in cui qualche gioielliere creativo esplorava i confini della tradizione domandandosi cosa potesse essere accettabile dai clienti, usando nuovi materiali come il titanio e la gomma, producendo nuove e leggere strutture che diventano rapidamente popolari, anche in combinazione con gemme preziose.
Stampanti 3D
Le stampanti 3D stanno diventando una presenza sempre più importante all’interno delle fabbriche e delle aziende. Perché? Perché consentono a tutti di realizzare piccoli oggetti a basso costo, scegliendo materiali e forme. Tuttavia, non è poi così immediato capire come una stampante di questo tipo funzioni, cosa permetta di realizzare e quali siano i suoi vantaggi. Innanzitutto, perché si chiama stampa 3D? Viene utilizzato il termine stampa perché la tecnica alla base, fatte le dovute proporzioni, ricorda quella utilizzata dalle stampanti laser: l’utente realizza un progetto su un software per la stampa 3D e poi lo invia alla stampante affinché lo possa realizzare. Il motivo della rapida diffusione delle stampanti 3D è fondamentalmente uno: la facilità d’uso. Il tutto unito a una duttilità unica d’impiego e ai costi relativamente bassi. La parte fondamentale resta la progettazione dell’oggetto da costruire, che va fatta al computer con un programma apposito. Il documento da mandare in stampa deve contenere tutti i dettagli del prodotto finale: dalla lunghezza alla profondità, fino ai materiali da utilizzare. Ogni anno i materiali usati nella stampa 3D si modificano in base alle nuove scoperte e alle innovazioni che la tecnologia porta in questo settore. Oggi esiste un’ampia varietà di materiali utilizzabili dalle stampanti 3D, disponibili in forme differenti (polvere, filamenti, pallet, granuli, resine, ecc.), che variano a seconda dell’utilizzo che se ne deve fare. Salvo alcuni modelli di nicchia che usano materiali molto particolari come ceramiche o paste dentarie, la maggior parte delle stampanti ha standardizzato i suoi materiali.
Molto spesso, nel processo di stampa 3D di sinterizzazione, o come filamento nel processo FDM (Filament deposition manufactoring), si utilizza il nylon: il filamento della cartuccia viene prima fuso dall’estrusore e poi depositato strato su strato sino a costruire l’oggetto desiderato. Flessibile e resistente, il nylon è molto apprezzato anche perché di colore bianco e quindi adatto a essere colorato prima o dopo la stampa. Inoltre, mischiato con l’alluminio dà vita a un altro materiale usato nella stampa 3D: l’alumide.
Largamente utilizzato è anche l’ABS (acronimo di Acrilonitrile butadiene stirene), soprattutto per la produzione di oggetti duri e resistenti. Il filamento viene fuso a circa 250 gradi prima di poter essere utilizzato per la realizzazione di oggetti di qualunque genere, e si trova praticamente in ogni sfumatura di colore. Riciclabile, non è biodegradabile come lo è invece il PLA (acronimo di Acido polilattico) che – sebbene non sia particolarmente resistente o flessibile – è apprezzato per la sua varietà di colori (esiste anche trasparente). Tra i materiali metallici più utilizzati troviamo l’acciaio. Impiegato nei processi di sinterizzazione o fusione, è di color argento ma può essere rivestito con altri materiali per assumere toni dorati o bronzei. Anche oro e argento vengono spesso usati nella stampa 3D per creare particolari gioielli stampati da artisti e artigiani, mentre per chi cerca la resistenza il materiale più usato e consigliato è il titanio.
Gioielli in oro, realizzati con la stampante 3D
20.Artisti e Gioielleria Contemporanea
Da Pablo Picasso a Jeff Koons, da Louise Bourgeois a Damien Hirst, da Lucio Fontana ad Anish Kapoor.
Sono solo alcuni degli oltre cento nomi dell’arte moderna e contemporanea riuniti assieme per svelare il proprio volto meno noto: quello di artisti di gioielli, le cui creazioni hanno la valenza di sorprendenti opere d’arte spesso sconosciute al grande pubblico.
20.1 “Precious – da Picasso a Jeff Koons”
Dopo aver fatto tappa a Roubaix, New York, Atene, Valencia, Miami e Seoul, la collezione raccolta negli anni da Diane Venet, collezionista parigina di origine e newyorchese d’adozione, arriva per la prima volta in Italia con “Precious – da Picasso a Jeff Koons”.
Centocinquantotto gioielli, la collezione al completo, con alcune opere mai esposte prima, che raccontano un approccio all’arte differente da quello che siamo soliti osservare e trasformano il piano nobile del Vitraria Glass +A Museum, inaugurato a Venezia a settembre 2014.
Ogni gioiello, concepito come opera d’arte da indossare, racchiude in sé una storia ed è stato realizzato dall’artista con una particolare persona in mente: è forse proprio questo aspetto “intimo” a renderlo ancora più affascinante.
Il doppio significato di questa mostra inizia proprio dal suo titolo: “Precious” non solo perché si fa riferimento a oggetti d’arte rarissimi e preziosi, ma anche a opere che custodiscono un contenuto simbolico e personale forte, spesso all’origine della creazione. Basti pensare ai ciottoli raccolti sulla spiaggia da Picasso e poi dipinti per Dora Maar, o ai pezzi di osso sui cui incise il ritratto di Marie-Thérèse.
Diane Venet racconta che la sua collezione nacque il giorno in cui suo marito, l’artista francese Bernar Venet, le strinse attorno all’anulare sinistro un sottile bastoncino d’argento come anello di nozze, a cui sono seguiti spille e bracciali, ognuno corrispondente a un nuovo concetto nella sua attività artistica.
La collezione è cresciuta nel tempo, chiamando a raccolta amici e artisti quali César, che ha compresso braccialetti e ciondoli della famiglia Venet per dargli nuova vita, o Chamberlain, che ha donato a Diane Venet il suo primissimo gioiello, una spilla in alluminio accartocciato e verniciato. A volte gli artisti hanno rifiutato la richiesta, per cimentarsi nella sfida solo in un secondo momento, come nel caso di Frank Stella, tentati dallo sperimentare il proprio linguaggio su una scala diversa e con vincoli differenti.
Molti gioielli sono arrivati dopo indagini, incontri, viaggi intrapresi per rintracciare pezzi rari. Tutti sono il risultato di un intreccio tra storie di vita e storia dell’arte.
A sinistra: Giacomo Balla, Elica. A destra: Jean Cocteau, Madame
Non è un argomento noto a tutti, ma molti dei grandi artisti del Novecento (siano stati essi pittori, scultori, fotografi) si cimentarono con la creazione di gioielli, producendo straordinari capolavori in oro e pietre preziose e contribuendo alla contaminazione tra le arti anche in oreficeria.
Alexander Calder, Flower head piece Flower head piece è un diadema dell’americano Alexander Calder (Lawnton, 1898 – New York, 1976), noto per le sue sculture di arte cinetica che occupano gli ambienti sospese al soffitto. Tipico del suo immaginario è il ricorso a forme tratte dal mondo vegetale: in questo caso protagonista del gioiello-scultura è un fiore che assume tuttavia una forma non molto frequente nelle opere scultoree di Calder, con i petali che si dispongono a formare una corolla stilizzata.
Alexander Calder, Flower head piece (1940; ottone martellato, base in metallo, 25,4x15cm, pezzo unico; Londra, Didier and Martine Haspeslagh, Didier Ltd)
Salvador Dalí, La persistencia del sonido Per Salvador Dalí (Figueres, 1904 – 1989), l’orecchio era simbolo di armonia e unità, e i suoi orecchini (il loro nome, in italiano, è “la persistenza del suono”) ricordano la forma di due cornette del telefono: questo disegno, scrisse lo stesso artista, “ci ricorda la rapidità della comunicazione moderna, la speranza e il pericolo dei cambiamenti improvvisi di pensiero). I telefoni, del resto, sono spesso presenti nell’opera dell’artista spagnolo: basti pensare al famosissimo telefono-aragosta.
Salvator Dalì, La persistencia del sonido (1949; orecchini, oro 18 carati rubini, smeraldi, diamanti, 4,4×1,9cm; Londra, Didier and Martine Haspeslagh, Didier Ltd)
Giorgio De Chirico, Cavallo con cavaliere con berretto frigio La spilla di Giorgio De Chirico (Volos, 1888 – Roma, 1978) è l’esatta riproduzione, in forma di gioiello, di una sua scultura rappresentate un cavaliere con berretto frigio in sella al suo cavallo. Si trattò di un tema che De Chirico affrontò e replicò più volte nel corso della sua carriera: il berretto frigio è presente anche in altri dipinti, in quanto simbolo di libertà (era il berretto che indossavano i liberti nell’antichità e fu poi il copricapo simbolo dei rivoluzionari francesi).
Giorgio De Chirico, Cavallo con cavaliere con berretto frigio (1950 circa; spilla, oro 18 carati, 6,8×4,5cm; Londra, Didier and Martine Haspeslagh, Didier Ltd)
Gino Severini, Spilla Gino Severini (Cortona, 1883 – Parigi, 1966), artista tra i più rappresentativi del futurismo, dopo gli anni Trenta conobbe un vistoso calo della sua produzione, che si fermò quasi completamente nel dopoguerra. Questa spilla è però una delle opere estreme della sua produzione e sembra quasi una summa, tradotta in gioiello, delle caratteristiche della sua arte futurista, alla quale era tornato proprio nel secondo dopoguerra dopo aver conosciuto una parentesi classicista abbastanza lunga: la sua spilla è quindi un insieme di dinamismo, velocità, forme in trasformazione.
Gino Severini, Spilla (primi anni Sessanta; oro bianco, oro giallo, rubini, zaffiri, smeraldi, diamanti, 6×3,5cm, pezzo unico; Londra, Didier and Martine Haspeslagh, Didier Ltd)
Georges Braque, Helena Georges Braque (Argenteuil, 1882 – Parigi, 1963) creò una serie di gioielli ispirati ai personaggi della mitologia: in questo caso abbiamo Elena, una spilla che assume le sembianze di un volto femminile stilizzato simile a quelli che si trovano in tanti dipinti dell’artista francese, uno dei massimi esponenti del cubismo.
Georges Braque, Helena (1963; spilla, oro 18 carati, turchese, smalti, diamanti, 6,2 x 4,8 cm; Londra, Didier and Martine Haspeslagh, Didier Ltd)
Gio’ Pomodoro, Collana Degli artisti del Novecento, Gio’ Pomodoro (Orciano di Pesaro, 1930 – Milano, 2002) fu tra i più attivi nel campo dell’oreficeria: i suoi gioielli rappresentano una parte importante della sua produzione, e proprio con i gioielli partecipò giovanissimo, a ventisei anni, alla Biennale di Venezia del 1956. Le sue opere in oro e pietre preziose degli anni Sessanta riflettono le sue ricerche sulle forme in tensione, che in parte sono ravvisabili anche nelle incresptaure che caratterizzano gli elementi di questa originalissima collana, uno dei prodotti più alti della sua oreficeria.
Giò Pomodoro, collana (1964; oro puro, oro rosso, oro bianco, smeraldi, rubini, 19x14cm, pezzo unico; Seravezza, Collezione B. Pomodoro)
Arnaldo Pomodoro, Spilla Come il cognato Giò, anche Arnaldo Pomodoro (Morciano di Romagna, 1926) ha condotto diverse ricerche nell’ambito dell’arte del gioiello. Si tratta di un filone che compare nella sua produzione già negli anni Quaranta e che l’artista non ha mai abbandonato. Solitamente i suoi gioielli riflettono le sue ricerche scultoree, come nel caso di questa spilla caratterizzata dalle rotture geometriche che svelano i meccanismi interni dell’opera.
Arnaldo Pomodoro, Spilla (1964; oro rosa, geode, rubini, diamanti, 7×7,2cm, pezzo unico: Londra, Didier and Martine Haspeslagh, Didier Ltd)
Lucio Fontana, Concetto spaziale L’uovo è un elemento che ricorre nell’arte di Lucio Fontana (Rosario, 1899 – Comabbio, 1968) ed è in particolare protagonista della serie Fine di Dio: l’uovo, che per l’artista italo-argentino rappresenta l’inizio di una nuova vita dopo la fine di un’altra fase, compare anche in questo suo Concetto spazialedegli anni Sessanta (anche ai gioielli, Fontana aveva dato lo stesso titolo che aveva immaginato per le sue opere più celebri come i tagli e i buchi).
Lucio Fontana, Concetto spaziale (1962-1967; bracciale, oro 18 carati, altezza 8,5cm; Londra, Didier and Martine Haspeslagh, Didier Ltd)
Giorgio Facchini, Movimenti cinetici Giorgio Facchini (Fano, 1947) è forse l’unico artista qui presentato per il quale l’oreficeria è il terreno privilegiato: più che un gioielliere è però uno “scultore del gioiello”, dal momento che le sue creazioni presentano linee fortemente scultoree che traggono ispirazione dalle più aggiornate ricerche della scultura italiana e internazionale. Le sue “sculture da indossare” sono forme in movimento dalle linee forti e taglienti.
Giorgio Facchini, Movimenti cinetici (1969; bracciale in oro bianco, 18 carati, oro rosso, argento, rubini, pezzo unico; Collezione dell’artista)
Man Ray, Optic Topic Man Ray (Filadelfia, 1890 – Parigi, 1976) sviluppò il suo Optic Topic nel 1972 assieme al gioielliere italiano Gian Carlo Montebello: l’opera nasceva come un paio di occhiali da sole che invece di avere le lenti avevano una superficie bucherellata, poi l’artista decise di trasformare il tutto in una maschera. “Questa maschera”, aveva scritto nel 1975 in una lettera a Montebello, “non dev’essere usata per alcuna funzione pratica, ma dev’essere semplicemente indossata o tenuta in mano. Il titolo? Optic topic”. Curiosamente, il titolo (che in italiano suonerebbe come “argomento di ottica”) è composto da due parole che sono l’una l’anagramma dell’altra.
Man Ray, Optic Topic (1972; argento dorato, 18×9,7cm; Londra, Didier and Martine Haspeslagh, Didier Ltd)
Umberto Mastroianni, Meteora Anche Umberto Mastroianni (Fontana Liri, 1910 – Marino, 1998) trasportò nell’ambito della gioielleria le intuizioni che sviluppò nel campo della scultura. Questa Meteora, un pendente, è una delle sue creazioni più apprezzate e fa parte della fase “astrale” della sua produzione: a partire dagli anni Settanta Mastroianni cominciò infatti a ispirarsi agli elementi del cosmo.
Umberto Mastroianni, Meteora (1970; collana, oro giallo, oro bianco, eseguita da Diderico Gherardi, diametro pendente 10cm, diametro torque 12,8cm, pezzo unico; Londra, Didier and Martine Haspeslagh, Didier Ltd)
Pablo Picasso, Visage de faune Il Visage de faune compare in diverse opere di Pablo Picasso (Malaga, 1881 – Mougins, 1973), soprattutto in ceramica, ma qui è protagonista di un medaglione in oro. La prima realizzazione avente per tema il volto di fauno risale al 1955 e ci comunica tutto l’interesse per la mitologia che ricorre in gran parte della produzione del grande pittore e scultore cubista.
Pablo Picasso, Visage de faune (1973; medaglione, oro 23 carati, 5,5cm, Londra, Didier and Martine Haspeslagh, Didier Ltd)
Niki de Saint Phalle, Assemblage necklace Questa collana di Niki de Saint Phalle (Neuilly-sur-Seine, 1930 – San Diego, 2002) è stata prodotta in varie edizioni dal 1974 al 2015. È un assemblaggio tipico dell’artista francese, che ripropone sotto forma di gioiello uno dei coloratissimi personaggi che affollano il suo immaginario.
Niki de Saint Phalle, Assemblage necklace (1974/2015; oro giallo 18 carati, 13x8cm; Londra, Didier and Martine Haspeslagh, Didier Ltd)
- Sculture indossabili
Come abbiamo visto, nel ‘900 i gioielli non sono più solo dei pezzi di artigianato, bensì delle vere e proprie opere d’arte, guardano alla scultura, alla pittura, all’architettura, alla moda e all’arte in generale, ponendo come principio l’opera d’arte indossabile, c’è chi ha fatto dei gioielli delle vere e proprie sculture indossabili, creando un perfetto connubio tra moda, scultura e oreficeria, ecco alcuni esempi:
GIUSEPPE FATA: Viene Considerato “IL GENIO DELL’ARTE SULLA TESTA” dalla stampa e dalla prestigiosa Haute Couture di Parigi, molte sono le Head Sculpture Design “Tribute” realizzate per rendere omaggio ai grandi dell’alta moda. Yves Saint Laurent, Coco Chanel, Egon Von Furtenberg, Cristian Dior, Gil Cagnè, Gianfranco Ferrè, Alexander McQueen, Sergio Valente, Franca Sozzani e Stefano Anselmo; essi fanno parte della collezzione privata Fata Head Sculpture Design.
“Racconto di un sogno in una TESTA SCULTURA”
Per Giuseppe Fata Creare un cyberspace artistico, su una testa, significa rendere il pensiero aurea, pensiero culturale. Un gioco di rimandi, un corpo deittico, ed ecco che la testa viene materializzata in musica pietrificata. La testa scultura crea un lavoro estetico che si professionalizza. E l’espressione prende materia solo se si crea sentimenti effusi spazialmente. La testa fa l’arte, perché il capo è l’arte dinamica dei pensieri. E perché non farla valere? La carriera e lo scopo di Giuseppe Fata è proprio questa…
Rendere visibili a tutti il mistero dei nostri pensieri, svelando quello che ognuno
di noi non ha mai detto nella sua vita e vorrebbe dirlo in una TESTA SCULTURA.
MARINA CORAZZIARI: Il suo stile eclettico mediterraneo fonde il neo-etnico con il liberty, il barocco con il post-industriale, gli astratti simbolismi bizantini e le tessiture intreccio tipiche delle aree stilistiche dell’Africa nera.
Piccole sculture dove i materiali più diversi si incontrano e si fondono sotto sotto la sua abile maestria, incarnando lo spirito post-industriale, dove il minimalismo è assolutamente bandito. Ricorrente il tema delle farfalle che, a detto della stessa artista, esprimono per lei il desiderio di volare ed evadere sulle ali della fantasia.
Concept Gioielli-Scultura di Marina Corazziari
“Gioielli Scultura: Come veri e propri pezzi unici da collezione, opere d’arte in scala ridotta che superano l’orizzonte del superfluo per raggiungere significati più profondi che sottintendono la squisita sottigliezza della forma e dell’essere.”
ORNA BEN-AMI: Il lavoro dell’artista israeliana Orna Ben-Ami si caratterizza per la leggerezza con cui tratta una materia pesante come il ferro, rendendola così morbida ed estremamente delicata. Il ferro esprime la volontà di aggrapparsi fortemente all’identità che l’oggetto rappresenta, rendendolo eterno e significativo come un monumento metallico. Orna nasce come artista di gioielli, per poi approdare alla realizzazione di opere d’arte che sono esposte in luoghi pubblici e privati di tutto il mondo. I gioielli di Orna sono delle vere e proprie opere d’arte cesellate con maestria da indossare con grande semplicità.
Bibliografia
- VV., I Gioielli, Trezzano, Fratelli Melita Editori,1991.
- Abbattista Finocchiaro A., Il libro dei gioielli. Milano, Giovanni De Vecchi Editore, 1992.
- Associazione di Mestiere Oreficeria Artistica di Confartigianato Imprese Arezzo (a cura di), Il Gioiello nel Rinascimento, Sansepolcro, Arti Grafiche, 2014.
- Mazloum C., Gioielli d’arte, Roma, Gremese Editore, 1993.
- Phillips C., Gioielli, Ginevra-Milano, Rizzoli, 2003.
- http://www.romanoimpero.com/2015/02/i-gioielli-romani.html,
- http://www.gatc.it/ritagli/gioiellidelleromane.htm,
- https://gioielloitaliano.net/it/blog/post/storia-del-gioiello-rinascimentooggi/,
- http://www.calabriatours.org/heritage/diadema-di-hera-lacinia.html.
- http://www.limesonline.com/cartaceo/storia-e-geopolitica-sudafricana,
- http://www.artipreziose.it/approfondimenti/scheda%208.pdf
- https://www.geometriefluide.com/pagina.asp?cat=rococo-moda
- https://www.finestresullarte.info/1093n_gioielli-artisti-novecento-scultura-aurea.php
- https://www.marinacorazziari.com/about-me.html
Ringraziamenti
In questo giorno è quasi doveroso dover ringraziare alcune persone, persone che mi hanno seguito, sostenuto e mi sono state vicine durante questo viaggio, ma permettetemi di ringraziare in primis, tutta la mia famiglia:
Ai miei Genitori, a mio Padre, per avermi guidato e trasmesso questa passione. Come entrambi sappiamo, il nostro è un mestiere che richiede tanto studio e tanta pratica, ma se molti anni fa ho fatto questa scelta è perché sono innamorato dell’arte, e del nostro lavoro, a te vanno i più GRANDI ringraziamenti, forse un giorno farò il lavoro più bello del mondo, e lo farò insieme a te. grazie per tutto quello che hai fatto e continui a fare per me, grazie per avermi dato un’istruzione e per avermi reso oggi quello che sono. Sono sicuro faremo grandi cose insieme, questo giorno lo aspettano da tanto tempo e aver finalmente finito, mi darà la possibilità di pensare e guardare il mondo con occhi diversi, da oggi, spero di renderti ancora più orgoglioso di me. Ti voglio tanto bene Papà
A mia Madre, una figura che non potrei mai descrivere in due righe, quindi in una sola frase direi: senza di te, non sarei l’uomo che sono oggi. A te non vanno solo i ringraziamenti, ma gran parte del merito di questo traguardo per l’appoggio e la forza che mi davi e che continui a darmi ogni giorno, grazie per il supporto e per la spalla che mi hai SEMPRE dato. Mi hai sempre appoggiato e sostenuto, in ogni singola scelta e pensiero, lasciandomi la giusta libertà di poter pensare con la mia testa, e di poter agire di conseguenza, grazie per la fiducia, grazie per avermi sostenuto, grazie perché hai sempre creduto in me, questo giorno è il coronamento di un lungo percorso, e sono arrivato oggi qui, è anche per merito tuo, e per questo te ne sarò sempre ed eternamente grato, Mamma, grazie per aver fatto di me, l’uomo che sono oggi. Ti amo
le mie sorelle Vanessa ed Emanuela, per avermi sempre appoggiato nelle scelte che ho fatto e per essermi sempre rimaste vicino. Sapevo di poter contare su di voi e per me è stato di fondamentale importanza in questo percorso, avere delle sorelle è una fortuna che non tutti hanno, ma avere delle sorelle come voi, è la cosa più bella del mondo! Siete e resterete sempre un pezzo di cuore, questo traguardo, oggi, è anche per merito vostro, senza di voi non sarei qui, quindi grazie per aver reso questo giorno possibile, siete sempre state e sarete sempre le colonne su cui potrò contare, grazie per avermi sempre incoraggiato e sostenuto.
Grazie per tutto quello che avete fatto per me <3
Ai miei Nonni, Nonna Maria, Nonna Tonia e Nonno Tonino. Per tutto l’amore che mi avete sempre regalato, a prescindere dal traguardo che oggi ho raggiunto, nessuna Università potrà mai trasmettermi quello che mi avete trasmesso voi, essendo cresciuto con voi, siete voi che mi avete formato come uomo, insegnandomi i valori e i caratteri che contraddistinguono lo stesso, soprattutto guardando Nonno Tonino, sin da piccolo guardavo sempre all’uomo che sarei voluto diventare un giorno, e alle mie Nonne, come alla donna che un giorno avrei voluto al mio fianco, grazie per tutto quello che avete fatto per me, per il vostro amore e per tutto quello che mi avete trasmesso. Nonni, Vi amo
Ad Andrea Strigaro so che ti faccio incazzare tanto! Ma è quello che fanno i fratelli.. “se non ti mando di fuori non sono felice!” E a parte gli scherzi, qui in mezzo sei una delle persone che mi conosce di più, cresciuti insieme, ringraziarti è poco, sei un pezzo del mio cuore, e lo sarai sempre, la Milano da bere vissuta insieme è un tatuaggio nell’anima ormai, grazie per la fratellanza che ci unisce da sempre, e grazie per tutto quello che fai sempre per me.. ti voglio troppo bene
A Federica Taverna, per aver vissuto insieme a me una parte della Milano da bere! Dopo le sessioni, e durante l’anno, mi hai fatto sentire a casa, con la tua presenza e le gioie che mi hai regalato. Sei la mia sorellina, ti ho sempre amato e festeggiare questo giorno con te mi riempie ancor di più il cuore di gioia. Grazie per il legame che ci tiene uniti, da sempre. Ti voglio bene
A mio fratello Andrea Calabretta forse qui in mezzo è la persona che mi conosce più di tutte, dal primo giorno di vita ad oggi, una storia d’amore che dura 26 anni! Tra gioie e dolori sei la persona a cui voglio più bene, sei e resterai per sempre nel mio cuore, grazie per il tuo sostegno e per la tua vicinanza, cosa che mi hai sempre dato, anche a chilometri di distanza, averti qui oggi è la cosa più importante che io potessi avere, perché festeggio uno dei giorni più belli della mia vita, con la persona che l’ha vissuta più di tutte! Ti voglio bene fratellino mio
Al mio fratellino Marco Calabretta idem! Cresciuti insieme ti ho sempre considerato prima di tutto un fratello, e cosa si può dire a un fratello se non GRAZIE, per tutti i momenti passati insieme e per l’infanzia/adolescenza più bella che potessi ricevere, averti in questo giorno è per me una delle cose più importanti. Ti voglio bene fratuma
A Lucia Frontera e Valentina L.S. Siete l’amore della mia vita! Vi ho sempre amate come sorelle e tali vi considero, in un giorno così importante non potevate mancare, e festeggiare con voi, rende questo giorno veramente speciale, grazie per tutti i momenti passati insieme e per il legame che da sempre ci unisce. Vi voglio bene
Ai miei cognati/fratelli Antonio T. e Leonardo G. siete i fratelli che non ho mai avuto e sono fortunato ad avervi nella mia vita, grazie per i consigli e il sostegno che mi avete sempre dato in tutti questi anni.
ai miei nipoti Luigi e Michele, mi siete mancati ogni giorno, sempre di più, ogni volta sentivo due tagli al cuore, quando tornavo a casa e potevo finalmente riabbracciarvi, e quando ripartivo, per raggiungere finalmente questo mio ultimo traguardo! Siete come dei figli e da oggi spero di avervi quotidianamente nella mia vita, e a Tommaso!! (un giorno ti racconterò questa storia e voglio che tu sappia, che eri qui, nel pancione di mamma! E sempre nei miei pensieri, a festeggiare insieme a tutti noi). Vi amo
A tutta la mia famiglia, ai miei zii/zie, cugini/e, e parenti che insieme a me hanno vissuto questi anni, piccoli traguardi alla volta, piano piano, siamo arrivati ad oggi, inutile dire che questa vittoria è condivisa con tutti voi, anche se da lontano, il vostro calore e il vostro sostegno si è sempre sentito tanto, e non potete immaginare quanto per me sia stato importante.
Grazie Famiglia.
Tante persone e tanti amici hanno fatto parte di questo lungo viaggio, vorrei ringraziarvi tutti, singolarmente, per tutto quello che avete fatto per me, perché lo meritate e perché vi reputo tutti dei pezzi di cuore, però permettermi di ringraziare prima una persona:
Francesco Greco, la persona che ho avuto più vicina in questi anni, ho iniziato questo viaggio con te, e oggi lo chiudo ringraziando prima di tutto la persona che mi ha fatto vivere gli anni più belli della mia vita. A te, il ringraziamento più grande e più sincero, sei stato dal primo giorno fino all’ultimo, sempre accanto a me. Sei la persona con cui ho riso di più in vita mia! ma non solo, sei la persona con cui ho riso, pianto, gioito, festeggiato, parlato e potrei continuare all’infinito, è sempre stato come parlare ad un fratello, perché questo sei.. e la nostra convivenza, la nostra amicizia, è la cosa più bella che potesse capitarmi, in quella casa ho lasciato un pezzo di cuore grazie a te, e per le mille emozioni che insieme abbiamo vissuto lì dentro, mi sentivo a casa perché avevo trovato una famiglia con te, e questi anni passati insieme li porterò per sempre nel cuore, quando penso ai momenti passati insieme (almeno una volta al giorno, tutti i santi giorni) mi scende quasi sempre la lacrimuccia! Ma sempre accompagnata da un sorriso! quello che mi rimarrà di questi anni, non sarà l’Accademia di Brera, Milano, Moscova o le serate… ma la fortuna di aver vissuto tutto questo insieme a te, la dice lunga sui ringraziamenti che ti spettano! ma riassumerò il tutto dicendo che prima di essere il coinquilino perfetto, sei e resterai per sempre mio fratello.
Grazie per la persona che sei e per tutto quello che hai fatto per me.
Ti voglio bene Fratello
A Simone Marasco, all’amico/fratello più vecchio che ho, l’amico che c’è sempre stato, grazie per avermi accompagnato SEMPRE, per essermi rimasto vicino, nel bene e nel male, grazie per l’amicizia che da tantissimi anni ci lega, sei sempre stato uno di famiglia! e sono fortunato di averti al mio fianco, grazie per il sostegno, per il supporto e per la spalla che sei sempre stato, con te non basterebbero mille pagine! Dopo tanti anni, siamo ancora qua… e spero di averti nella mia vita per sempre, perché ti considero una persona rara e speciale. Grazie di tutto, Ti voglio bene Fratello mio
Ad Alessandro Speziale, se parliamo di fratelli non posso che legarmi subito ad un amore nato dal primo istante! Con te ho vissuto momenti che porterò per sempre nel mio cuore, in questi ultimi anni Roma è stata lo scenario dei nostri giorni insieme, dirti che per me sei una persona speciale è poco, sin da subito ti ho voluto sinceramente bene come un fratello, e tale ti considero, perché meriti tutto il bene di questo mondo, grazie per tutti i momenti passati insieme, e grazie per tutti quelli che verranno, persone come te sono rare, sarò sempre dalla tua parte e potrai sempre contare sul tuo fratellino Affi! ci siamo sempre capiti e sostenuti in tutto, e sono fortunato di avere nella mia vita un fratello come te. Grazie di tutto. Ti voglio bene Fratellino mio
Ad Agostino Biondi, grazie per la Milano che abbiamo vissuto, per la tua amicizia, per la spontaneità e la semplicità, qualità che contraddistinguono le grandi persone e i grandi uomini, sognatore quale sei, sono convinto farai grandi cose, e un giorno, parlando di questi anni, avrò la fortuna di poter dire “io c’ero!”, grazie per i consigli, i discorsi, le uscite, le cene, le idee… Sei un pezzo di cuore fratuma! Grazie di tutto. Ti voglio troppo bene
Ad Ettore Galdieri, una persona che mi è entrata nel cuore, parlare con te non è cosa da poco, sia per i contenuti che hai, che per la bellissima e sincera persona che sei, senza formalizzarmi troppo voglio dirti che ti considero una delle persone più vicine, sai che dovunque mi troverò (ricordando momenti passati!) a tavola ci sarà sempre un posto per te! Sei una persona speciale, che sa arrivare al cuore della gente, per la tua semplicità, sensibilità, sincerità soprattutto, ma maggiormente per il valore e l’attenzione che dai a tutto quello che ti circonda, grazie per il valore che
hai dato alla nostra amicizia, e per essermi sempre stato vicino. Ti voglio bene bros
A Salvatore Borrelli, qua poco da dire! O meglio, ci sarebbe troppo da dire, si nu frat! Ho solo tanti bei ricordi e tante risate sincere quando penso agli ultimi anni, e questo vuol dire che la nostra amicizia è qualcosa di speciale, ormai parliamo di qualcosa di indissolubile! Grazie per tutto questo, grazie per essermi amico e per aver vissuto con me questo traguardo. Ti voglio bene
A Giuseppe Greco, a una persona che ha conquistato il mio cuore dal primo giorno! Ci siamo conosciuti nel migliore dei modi, entrambi, i più piccoli della classe! Già la dice lunga sulle ambizioni e sui sognatori che eravamo. Con il cuore in mano, ti dico che in vita mia ho conosciuto poche persone come te, persone BELLE come te, in un giorno del genere, il mio fratellino non poteva mancare! Hai il cuore grande come una casa, e me lo hanno confermato gli anni e i momenti passati assieme, grazie per far parte della mia vita e per la tua amicizia, grazie, per il legame che ti tiene uniti dal primo giorno che ci siamo conosciuti. Ti voglio bene
A Francesco Pizzuti, Grazie per gli anni passati, sai la stima e il bene che provo per te e averti in questo giorno speciale per me è importantissimo, abbiamo passato momenti indelebili! E giorni come questi, che porterò per sempre nel cuore, non potevo non averti qui, ambizioso come sei, sono sicuro ci ritroveremo a festeggiare presto insieme, grazie per la tua amicizia e per il sostegno che mi hai dato in tutti questi anni. Ti voglio bene
A Domenico Rienzi, In giorni come questi, è importante avere vicino i veri amici, quelli sinceri, non potevo non averti qui! Grazie per i momenti che abbiamo passato e che continuiamo a vivere insieme, stasera ci sono tanti pezzi di cuore, e tu fai parte di quelli, grazie per tutto. Ti voglio bene
Ad Ylenia Arturi e Ciccio Rienzi, Grazie per l’amicizia che sin da subito mi avete regalato, con la vostra spontaneità e sincerità, ci tenevo ad avervi in questo giorno speciale perché tali vi considero, siete persone fantastiche, belle, e non se ne trovano tutti i giorni!.. e la vostra amicizia per me vale tantissimo, quindi grazie grazie grazie. Vi voglio tanto bene
Ad Attilio Camposano, l’unico rimpianto che ho, è quello di non averti conosciuto prima.. grande persona e grande lavoratore, sai calibrare ogni cosa, e questo non è da tutti.. si vede lontano un miglio che hai il cuore grande come una casa, e averti conosciuto e parlato, me lo ha solo confermato.. grazie per i momenti passati insieme e per quelli che verranno, grazie per la tua amicizia e grazie per avermi onorato venendo in questo giorno speciale, inutile dire che dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna! Grazie a Fabiola Mazzei, per la tua amicizia e per avermi onorato con la tua presenza. Vi voglio bene
Al Leo Club, alla mia seconda casa, la mia seconda famiglia, in particolare a Matteo C. Antonio M. Francesco C. Lorenzo I. Ginevra G. Mimmo S. Giulia S. Vincenzo A. Gianmarco A. Mattia I. Mariateresa R. Paolo B. Roberta B. Yves C. Siete e rimarrete sempre la mia seconda famiglia, con voi ho vissuto alcuni dei momenti più belli della mia vita, e avervi in questo giorno speciale per me era di vitale importanza!! Perché vi considero appunto tali, grazie per tutti i bei momenti passati insieme. Vi voglio bene ragazzi, con tutto il cuore, GRAZIE.
A Giuseppe Mariano, Un pezzo di cuore che non poteva mancare in un giorno così importante, ci è voluto pochissimo per capire che sei una persona fantastica, e il tempo me lo ha solo confermato! Grazie per i momenti che abbiamo passato insieme, per le serate, le risate e per tutte quelle che verranno! Sei una persona stupenda e sono felice e fortunato di averti qui, grazie per tutto. Ti voglio bene
A Ciccio Cozza, Qua rischio di far scendere la lacrima! Ma la verità è che sei una persona che merita tutto il bene di questo mondo, è impossibile non volerti bene! Da sempre ti considero una persona meravigliosa e sincera, e averti qui, oggi, per me è una grande cosa, abbiamo ancora tanto da festeggiare e recuperare, ma amicizie come la nostra, sono un caposaldo! Grazie per i momenti che abbiamo passato insieme e per tutti quelli che passeremo! Grazie per avermi onorato della tua presenza. Ti voglio bene
A Marco Castelliti, compagno di mille avventure, il mio Alter Ego! Qua ci sarebbe troppo da scrivere, sia per ringraziarti che per dire il bene che provo per te (anche se a volte sembra il contrario!), ti voglio bene come a pochi e negli ultimi anni, i momenti passati insieme mi hanno confermato una cosa, potranno passare anni, secoli, ma quello che ci unisce, non potrà mai finire, grazie per la nostra amicizia, per la nostra fratellanza.. grazie per i momenti pazzi, per avermi ascoltato, sostenuto, parlato.. Grazie per tutto quello che hai fatto per me in questi anni, grazie…perché sei e rimarrai per sempre un pezzo del mio cuore. Ti voglio bene
A Vladimir e Dubravka Golemić, in poco tempo mi avete aperto il cuore, e da subito ho capito le persone meravigliose che siete, tante cose ci accomunano e con voi ho respirato un’aria fantastica, di casa! Grazie per i bellissimi momenti passati insieme e per tutti quelli che verranno, Duda, sei una donna meravigliosa, Vlad, Brate moj, sei una persona speciale, grazie ancora per tutto. Vi voglio bene
A Luana Princi, Grazie per tutti i momenti che abbiamo passato insieme, in questi ultimi anni ho conosciuto tantissima gente, ma tu sei una di quelle poche persone che ho voluto fortemente in questo giorno speciale, perché ti ho sempre considerata una grande donna e una persona che ha reso questi anni ancora più belli, le serate, i discorsi, la musica! Sono tutti momenti che porterò sempre nel cuore, la distanza non ci ha aiutato, ma di tutto quello che ho vissuto, porto e porterò solo bei ricordi, Grazie mille per tutto! Ti voglio bene
Ad Andrea Pupa, con te, vorrei iniziare dicendo che sei una delle persone più belle che conosco! Da subito ho sentito un certo legame e nel tempo la nostra amicizia me lo ha confermato, non si trovano tutti i giorni persone come te e mi sento fortunato ad averti come amico e in questo giorno speciale, grazie per tutti i momenti che abbiamo passato insieme. Ti voglio bene
Ad Antonio Buscema, artista poliedrico! Poco da dire se non GRAZIE, per la persona che sei e per l’amicizia che mi regali ogni giorno, grazie per i momenti passati insieme e per tutti quelli che verranno! Sai la stima e l’ammirazione che provo per te, sia umanamente che artisticamente. Grazie per aver reso questo giorno ancora più bello con la tua presenza, Ti voglio bene
A Matteo Russo, grazie per avermi onorato con la tua presenza, ti ho sempre considerato una grande persona, oltre che un grande artista. Averti qui oggi è per me un grandissimo regalo, sono sicuro farai grandissime cose! Grazie ancora per tutto. Ti voglio bene
A Roberto Borrelli, alla classe fatta persona! Qui in mezzo sei una delle poche persone che fa parte delle “vecchie date”!.. ci conosciamo dall’asilo e averti qui oggi è meraviglioso, dal primo giorno di scuola, all’ultimo! Ti ho sempre considerato una grande persona, grazie per i momenti passati insieme, per la persona che sei e per l’amicizia che mi regali ogni giorno, Ti voglio bene.
Ad Eleonora Capria, difficile trovare anime come la tua, sei l’unica persona con cui si può parlare di musica! E non solo.. grazie per tutti questi anni di amicizia, grazie per avermi onorato della tua presenza in un giorno così importante, e grazie per il legame che ci unisce da anni. Ti voglio bene
A Francesco Cortese, amicizia ormai decennale! Grazie per i momenti che abbiamo trascorso e per i meravigliosi anni che abbiamo vissuto insieme, questo giorno e questo traguardo non sarebbe stato lo stesso senza di te, hai fatto parte della mia vita negli anni più belli, e sei uno dei pochi rimasti! sei un pezzo di cuore e averti qui oggi è per me un grande grandissimo regalo. Grazie per tutto, grazie per la tua amicizia. Ti voglio bene
Ad Albino Parretta, al cuore più grande del mondo! Oltre che alla cucina e alla carbonare più buona in assoluto, maestro! Sei una persona speciale, e voglio ringraziarti per tutto quello che abbiamo vissuto negli ultimi anni, amici di una vita, averti qui è per me un onore! Tu sei un altro che fa parte dei pezzi di cuore! Ti ho sempre stimato e ammirato, per la persona che sei e per tutto quello che fai. Grazie per aver reso questo giorno ancora più bello, Ti voglio bene albo
A Pia Nicoscia, All’interno di questo traguardo porto ricordi bellissimi, averti conosciuto, è stato sicuramente uno di quelli, hai fatto inevitabilmente parte di questo percorso e anche di questo traguardo, e nonostante tutto, ti ho sempre sentita vicina.. quindi grazie, grazie per le risate! Grazie per i discorsi e grazie per la bellissima persona che sei.
con te Milano non è stata più la stessa!
A Giuseppe Vettori, Grazie per avermi regalo in tutti questi anni la tua amicizia, ci tenevo tanto ad averti qui, perché ti considero una persona ed un amico fantastico, grazie per i momenti e per le gioie vissute insieme in questi anni, sicuramente non ne mancheranno altre in futuro! Sei una bella persona giù.. Ti voglio bene
A Simone Vutera, alla persona più buona del mondo! Impossibile non volerti bene, grazie per i mille momenti passati insieme negli ultimi anni, per i discorsi, le serate, ma soprattutto grazie per la tua amicizia, averti qui oggi mi ha onorato. Ti voglio bene
Ad Aaron Voce, maestro! Musicalmente parlando.. ma non solo questo ci accomuna, abbiamo passato tanti bei momenti e averti qui è per me una grande cosa, ci conosciamo da quando siamo piccoli, e ci tenevo a ringraziarti per aver reso questo giorno ancora più bello con la tua presenza. Ti voglio bene
A Davide Mellace, grazie per la semplicità e per la cordialità che mi hai sempre dimostrato, sei una persona meravigliosa e ci tenevo a ringraziarti per tutto questo, non è una cosa scontata, persone come te sono rare, e sono fortunato di averti come amico. Ti voglio bene
A Giuseppe Segreto, un altro grande maestro! tanti bei momenti passati insieme, non potevo non passare anche questo con te, grazie per la tua amicizia e per la persona che sei. Ti voglio bene
GRAZIE A TUTTI